Scritto da © Franca Figliolini - Mar, 16/10/2012 - 07:29
La domanda in genere arriva tra il secondo e il dolce, quando, placata la fame, i commensali si dedicano alla conversazione. Ti puntano gli occhi addosso e ti dicono: «Ma insomma, perché lo fai?» Questo è già qualcosa. In genere, parenti e amici tendono ad evitare il discorso, come se si trattasse di qualche incomprensibile mania o pecca di cui un po' ci si vergogna. Che so, come quello zio che colleziona le pagine delle conigliette del mese, o quel conoscente che si sa essere afflitto da una irredimibile flatulenza. Ecco, forse il secondo è il paragone più calzante.
Chi scrive, puzza.
Oddio, si trattasse di un autore professionale, riconosciuto, che - soprattutto, soprattutto - da questa sua stranezza trae un qualche guadagno, ecco, allora sarebbe diverso. Ma così, che vuol dire? Tutti quei fogli accumulati nei cassetti (e ora tutti quei file memorizzati nei pc) ad ammuffire, pieni di cose che nessuno leggerà mai, al più diffusi tramite qualche sito e blog dedicati ad altri preda della stessa afflizione! Difficile farsene una ragione, trovare un senso.
Infatti per me non ne ha nessuno, di senso.
Mi piace dire che non l'ho mai scelto, non più di quanto abbia scelto, che so, di parlare italiano o di essere alta tot centimetri. Ho iniziato a scrivere non appena ho imparato a leggere, ad apprendere che le parole potevano essere messe insieme per scopi diversi dal dire passami il sale o attenta a non sporcarti. No, la parola scopi non rende. Diciamo, in modi diversi.
Così, non ho nessuna risposta.
E, per quanto mi riguarda, nemmeno domande: è così e basta. Chiedermi perché scrivo è come chiedermi perché mi piace la cioccolata o baciare la persona amata. Non c'è nessun messaggio, nessun senso profondo. Non voglio comunicare niente. Mi piace essere letta, ma non è necessario. Scriverei lo stesso anche se fossi su un'isola deserta, credo. Dico "credo", perché non sono mai stata su un'isola deserta.
Sicché, mi tengo la puzza.