Lo scalderà il vapore della sala macchine.
Lo cullerà il rollio del mare di traverso.
Sua madre imbarcata per tentare uno scampo o una
fortuna,
suo padre l’angelo di un’ora,
molte paternità bastano a questo.
In terraferma l’avrebbero deposto
nel cassonetto di nettezza urbana.
Staccheranno coi denti la corda d’ombelico.
Lo getteranno al mare, alla misericordia.
Possiamo dargli solo i mesi di grembo, dicono le madri.
Lo possiamo aspettare, abbracciare no.
Nascere è solo un fiato d’aria guasta. Non c’è mondo
per lui.
Niente della sua vita è una parabola.
Nessun martello di falegname gli batterà le ore dell’infanzia,
poi i chiodi nella carne.
Io non mi chiamo Maria, ma questi figli miei
che non hanno portato manco un vestito e un nome
i marinai li chiamano Gesù.
Perché nascono in viaggio, senza arrivo.
Nasce nelle stive dei clandestini,
resta meno di un’ora di dicembre.
Dura di più il percorso dei Magi e dei contrabbandieri.
Nasce in mezzo a una strage di bambini.
Nasce per tradizione, per necessità,
con la stessa pazienza anniversaria.
Però non sopravvive più, non vuole.
Perché vivere ha già vissuto, e dire ha detto.
Non può togliere o aggiungere una spina ai rovi delle
tempie.
Sta con quelli che vivono il tempo di nascere.
Va con quelli che durano un’ora.
Erri De Luca - Opera sull’acqua - Einaudi