Francesco
Orrù


Racconti

L'attesa

Era nato povero Eusebio, come un fatto normale, una inevitabile evidenza; il corpo grosso, sgraziato, le mani enormi, il volto irregolare, sempre con qualcosa fuori posto, da quale angolo lo si guardasse, la camminata impacciata dalle gambe un po arcuate, i capelli neri e spessi, che non davano ragione al pettine; solo gli occhi erano di una tenerezza infinita, di una bontà senza ragioni.
Eusebio, tormentava sempre qualcosa tra le mani, in genere un cappello, quasi sempre da seduto, con una mano stringeva la tesa, mentre con l'altra ne seguiva tutta la circonferenza, da pugno a pugno, il corpo che convergeva nel fulcro dell'azione, lo sguardo intento a non perderne un passaggio; sapeva come attendere, come fare passare il tempo, come sollevare di quel poco lo sguardo a un passaggio, nel tempo era persino riuscito a modularlo quel poco, in base alla presunta importanza di chi attraversava lo sguardo.
Era la cosa che sapeva fare meglio aspettare, lasciare scorrere il tempo, forse perché da sempre lo facevano attendere, per una lettera, per una visita, per una pratica, trovava sempre gente che aveva cose urgenti da fare, improrogabili, così finiva sempre in coda, sempre a chiudere la porta. Lo faceva con il sorriso che aveva, con gli occhi un po' chiusi, solo per un istante, prima di tornare al suo cappello; anche quando gli rivolgevano la parola, mostrava gli stessi occhi e modulava le labbra quel tanto da passare dalla gioia al dolore, con il piatto neutro a fare da bilancia. Ad Eusebio la bellezza stringeva gli spazi, in particolari situazioni si ritrovava compresso, come un re sotto scacco, bastavano due belle donne per immobilizzarlo, per non lasciargli fuga, per fargli puntare sempre al basso, una sensazione di piacevole disagio lo prendeva in quella prossimità, si ancorava al suo cappello come ad una boa e galleggiava con l'acqua al mento, guardando il fondale di pietra, rubando le scarpe con la coda dell'occhio.
Le parole di Eusebio erano come pietre in una discesa, rotolavano lente e accavallate, precedute dai gesti che le risparmiavano, spiegavano perlopiù i pesi e le misure, seguite da un salve o qualche altra freddezza, detta già a mezza schiena, con le gambe alla casa; che era stretta, a misura, a portata di braccio, le cose contate, logorate con parsimonia, piegate all'uso, misurate ad una avara essenza, lui sapeva poche cose della vita, quasi nessuna oltre a quelle che gli servivano, una di queste era che un giorno lo ritroveranno lì, tra quelle quattro mura, con il cappello in mano.