Domenico
Puleo

Recensioni

Con Domenico Puleo siamo a una poesia della psicosi, della dipendenza, dell’oralità (cibo, farmaci, alcol), oralità speculare al grado di forte angoscia vissuta; e sul solco di una ricca tradizione culturale (Baudelaire, Rimbaud, maudits, bohemiens, i vari dissoluti e trasgressivi del Novecento, Miller, Bukowski, la Beat Generation e la tradizione nichilista ed esistenziale, dicasi Céline, Camus, Cioran). Cibo, psicofarmaci, alcol sigarette e poesia sono i luoghi e gli strumenti dove è significata la volontà autodistruttiva. Il poeta è abitato da una fortissima tensione disforica, dove rabbia, aggressività e angoscia dominano l’anima. Nella scrittura ogni istante è un che di definitivo, è possibile “eschaton”, tempo finale di distruzione e/o di svelamento del senso di tutto. Frequenti sono i rimandi agli anni trascorsi di una prima giovinezza finita, giovinezza connotata dalla vanità, dal fatuo e dove la felicità era momento del non pensare. La scrittura è diario dell’inettitudine, del disadattamento, dell’inabilità; del manifestarsi del “Puer”, dove ci si compiace dei propri limiti e vizi ma anche si autoironizza. La poesia per Puleo è ancora una sorta di “Saison à l’enfer” con tratti schizoidi. Il corpo è sempre lì sul baratro, pronto a scomporsi/decomporsi; la lucidità è peso e tutti i segni di vita provengono solo più dall’”abisso”. La scrittura è esercizio solitario, luogo di deformità, di avventura della parola, di narcisismo solipsistico e di corporeità obbrobriosa. Puleo insomma affrontando l’angoscia, risponde con una poesia dove è annotata la compulsiva voracità, la bulimia, con nobili e culturali ascendenze. Lo stomaco è luogo del nihil, come l’anima. O forse lo stomaco è l’anima.

Ezio Falcomer

Nell’universo poetico di Domenico Puleo è possibile rintracciare i precorrimenti di un itinerario filosofico- esistenziale che rinvia, innanzitutto, al versante nichilista del pensiero di Schopenhauer e Celan. Egli scrive infatti dentro l’impossibilità di senso del vivere quotidiano, data dall'esperienza annichilente della realtà, interna ed esterna al suo Sé. Ma proprio a partire da questa impossibilità vuole assegnare alla scrittura poetica una vis che possa, se non cambiare la direzione del suo itinerario esistenziale, almeno prospettare ai lettori una via di fuga rappresentata dalla bellezza del suo atto creativo. Tra le immagini più ricorrenti del suo repertorio poetico troviamo non solo quelle di tradizione classica, di matrice romantica e simbolista, come il silenzio, la notte e la solitudine, ma anche quelle di tradizione più recente come il bere, la sigaretta e l’automa cittadino, che fanno pensare a Bukowski e allo stesso Celan. Infine, si registra che, mentre sul piano fonetico predominano suoni duri e aspri, su quello retorico- espressivo abbondano gli enjambement, le metafore, le sinestesie e gli anacoluti.

Antonino R. Giuffrè