Domenico
Puleo

Poesie

Il pianto

Il pianto non è malinconia esclusiva
come il chiaro messaggio di un agente segreto
che ha visto la morte camminare sui tralicci del telefono.
Lo s’impara morendo, ammalandosi con lentezza
come piume che scivolano.
S’assapora cominciando a ridere consapevolmente,
piano piano, con lo spavento nella stanza,
e lo si riconosce nelle fessure dei denti
nella follia del crepapepelle
mentre tutto s’aggrava del peso della lucidità
e ogni strepitio fa il rumore dell’Abisso.

Oh sapeste come è disastroso il succedere di una lacrima,
che tutte le innumerevoli forze cosmiche si raccolgono in essa
e nessuna Babilonia può accadere,
perché tutte le lingue parlano la lingua della lacrima.
Oh sapeste quale infida normalità,
quale immane naturalezza per chi si lascia andare al pianto,
che si fa padre di un camerino comune,
dove ci si spoglia così,

umanamente.

Essere è prima di tutto rinunciare

Essere è prima di tutto rinunciare.
Sottomissione al rischio
di non stare
all'altezza del nulla.
Virtù e anche miseria.
Angelico vociare interiore
che, calamitato al fuori
si fa brusio d’inferno.
Perché lottare quando
all’ombra calva dell’esistere
c'èsempre un demone
che ne insidia i piedi?
Il missionario dell’inorganico.
Il vile deturpatore.
Allora, perché?
Quando nei pomeriggi di calma
le cause d’infelicità
sono angoli di cielo improvviso?

Temo sia tutto vano

Temo sia tutto vano
quest’appiattirsi delle notti,
questo rincorrere in silenzio
l’appuntamento ad una felicità che non duri.
Temo sia tutto vano
la carineria di riconoscersi adeguati,
la voluttà e la volontà,
che s’ammonticchiano,
si spalmano, creano dipendenze
e sogni troppo piccoli,
sino all’apparire della ferita.
Temo sia tutto vano,
e non temo per me,
sono anni che non temo per me,
è già tanto
che rattoppo quella giacca marrone.

Come carbone spezzato

Notte afgana
irraccontabile
fermenta sulla morte cloroformica
che abita le stanze
della mia mente
e io racconto
di puttane e cipressi
di tutto quell’asfalto imbevuto d’afa
che è la mia Messina
e mi nutro delle latrine del nihl
e guardo il mondo da dove
lo guardano i nani
nel punto inverso delle margherite
dove tutto è abbruttimento e castigo
Io sto
dove le cose hanno l’odore del disastro
e ogni piaga tra Dio e la muffa
urla
come carbone spezzato

Tutto il suo essere superflua

Hanno una vita immobile le cose della poesia,
sono manichini.
L’Apocalisse è in atto a ogni parola
spogliata a forza dal sangue e dalla terra
e lasciata andare al mondo così,
pigramente necessaria.
Malinconicamente, credo che la poesia
mi mancherà molto quando se ne andrà,
m’ha dato tutto il suo essere superlfua.