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Chissà chi e come sarebbe oggi Marilyn

Chi e come sarebbe oggi Marilyn, fosse arrivata a novant'anni circa?
Devo dire che ero affascinato, in gioventù e tuttora, dai primi cinema al caldo di una vera sala cinematografica. Oggi appoggiato al bracciolo di un divano color crema, un tavolo di fronte, una colonna, un vetro spesso. Sullo schermo, tra velluti rossi o tende salmone pallido, Ava Gadner, eroina dagli amori folli, labbra di rossetti espansi, movenze di fianchi da spire di boa; Kim Novack di Pic Nic, frizzantezza e dolcezza e morbidezza, che ricordava la mia primavera dei sensi; Lauren Bacall, bocca, angoli e sguardi perduti nelle falde di un iceberg. Ma l'attrice che più mi conturbava fu Rita Hayworth, essenza in carne ed ossa della spinta al desiderio, mai tenera. Un animale in gabbia. Lo scoglio esposto e la polvere in pulviscoli di buio nella quale cadere, nuotarci sino a soffocare. Il vero abisso dei sensi maturi di un uomo maturo: la sua discesa da quella scalinata per cadere nel tango di un amato, il calore della passione che non finisce mai. Perché il desiderio c'è. Non può morire finché c'è vita.
 
Poi Marilyn, si. Il doppio volto della donna. Lo sguardo miope, venato da un leggero strabismo corretto dagli occhiali che non indosserà mai di fronte agli estranei, se non per lavoro. Una corona di brillanti i denti smaglianti; il sorriso con il quale ti fotte o ti ha già fottuto o ti fotterà. Pronta a non essere mai tua per più di una stagione, chiunque tu sia; stagione di cui solo lei deciderà il come e il quando farla finire.
Perché il suo cervello, la sua mente, è una cosa autonoma, staccata dal suo corpo, una cosa indipendente, una cosa semidisarticolata, come pare il mio ginocchio.
Li ha offerti, l'uno e l'altro, poche volte, nonostante l'aspetto brillante in pubblico: ad intellettuali, sportivi, artisti, potenti, picciotti di un sistema di potere da cui, nonostante le più alte protezioni, continuò ad essere controllata. Uno starsystem da cui, una volta entrati, è estremamente difficile uscire.
Ci rimangono, di lei, i suoi sorrisi, i vestiti, il bianco, il rosso, l'aria dalle grate, i film, le sue storie; gli spiragli segreti come le sue poesie, veramente meritevoli, le recite durante le prove, in cui immagino qualche goccia di saliva dovrà ben esserle uscita da un angolo delle labbra. A rendergliele umide, indiamantate come i rossetti di ieri e di oggi. Per le quali gocce, non fosse per altro, avrebbe meritato di essere amata come qualunque altra casalinga mortale che entra ed esce dagli shopping. Soltanto, meno carica di sogni da distribuire.
Nessuno, invece, poté proteggerla da quella pioggia infame di barbiturici, trovati nel suo stomaco da un'autopsia crudele, fredda tale e quale la sua perdita. La rabbia, il pianto forse, prima di ingerirli.

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