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innocenti evasioni

 
Sono luoghi aperti agli occhi della pura immaginazione.
Un tipo di evasione che spesso trova conforto anche nel mio inchiostro così che mi pare di aver conosciuto angoli di terra che nemmeno saprei trovare aprendo la carta geografica per metterci un dito sopra e dire – ecco, io qui ci sono stata! –
Per esempio io…adesso mi immagino che siamo entrati in un  caffè letterario, mi guardo sulla sinistra e vedo solo nomi, anzi no, vedo volti sconosciuti. Qualcuno mi sorride, qualcuno mi saluta e mi allunga un brano o una poesia, magari vuole solo un po’di compagnia, due parole, un sorriso fino alla prossima volta, qualcun altro mi ignora o mi detesta. E poi ci sei tu, un po’ in disparte, scarabocchi sul tovagliolo e sorseggi il tuo caffè.
Mi sembri silenzioso e anch’io lo sono a modo mio. Poi ti alzi e te ne vai.
Con indifferenza esco anch’io ma quel tovagliolo che tenevi fra le dita è  lì,  sul tavolo.
Sei distratto, forse l’hai dimenticato, o forse no.
“guidami con quella mano di tanto tempo fa e scusami, scusami se ancora ti assillo”
Ecco, dico. È  uno scrittore, non che quelle righe su un tovagliolo di carta lo dimostrino ma ho come la percezione che sia vero. L’ha scritta per qualcuno a cui vuol bene. È  un bel gesto ma resterà incompiuto, abbandonato su questo tavolino, dentro un tovagliolo stropicciato che qualche cameriere raccattera’ e gettera’ via.
E allora lo prendo. Rubo i gesti che mi piacciono, quelli veri, per non farli finire nei cestini della spazzatura di un anonimo bar. Immaginazione al seguito.
Poi sorrido, ci penso, lo rileggo. Non è  per me. Però  mi chiedo – ma come guidavo io tanto tempo fa?-  Come ho potuto affrontare tante situazioni più o meno gravi senza perdermi o abbandonare qualcosa, qualcuno? Lo so, lo so che non è per me, ma faccio finta che sì. E così vedi, anche un semplice gesto diventa cio’ che posso trasformare in altro, in poesia, in pensiero, all’insaputa di quello scrittore.
Prima che ritorni lui, dato che è un habitue’ di questo bar e di questo tavolino, decido di lasciargli sotto la zuccheriera un bigliettino invisibile. È un gioco. Forse si arrabbia, che ne so? 
Eccolo di nuovo! Oddio  e se s’incazza e non torna più?  Va bene, non m’importa. Lo faccio e basta. È una leggerezza da niente, qualcosa di dolce che potrà  forse far sorridere in una giornata di nebbia due occhi tristi.
Lo piego in dieci parti, che fatichi almeno un pochino ad aprirlo, così rido anche un po’.
Sul bigliettino in un angolo appena visibile ho solo scritto grazie.
 
 

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