Scritto da © Marco valdo - Lun, 02/01/2017 - 21:14
Così, senza sapere, approssimativo pure l'errore, confuse che s'ebbero le linee generali. Rimase l'esercizio di stile, l'equilibrio formale, tre forchette a sinistra, un cucchiaio e due coltelli a destra, vuoto il piatto, vuoti i calici di Boemia. Eserciti di camerieri brigavano nella sala grande, la carne marciva in cucina dentro ai congelatori spenti.
"Il passo per l'oltre, per l'altrove"
Gridò il giovane smunto, prima di crollare rovinosamente sulla tovaglia di fiandra ricamata a mano.
Gli sguardi discreti dei commensali, mischiavano la compassione alla pietà, per poi ritornare alla pena dei volti, specchio dell'assoluzione.
“Ancora, ancora, ancora, non passare lo sguardo, non cedere il segno, che la vita, la vita, la vita... la vita passa, per gli occhi, le mani, non rimane ferma al cuore, sporcati di tutti gli errori del mondo, lavati al coraggio e se morire si deve, moriamo di stupore”
Ferma in piedi, ancora scossa dai fremiti, la ragazza cercava aria, con gli occhi approvazione o giusta punizione, voleva calore, fosse una carezza o una sferzata, ma niente, solo il tiepido dei sorrisi, l'imbarazzo accennato.
“Ma se domani, non fosse più scelta, ma necessità, se non dovesse più bastare il noto, se la vita ci parlasse in diverso modo, noi, tutti noi, come...”
l'uomo seduto, piegato su se stesso, come a cercare la via delle sue parole, fermo nel bivio del concetto, indeciso tra il silenzio e...,
rivolse lo sguardo ai commensali, la pietà di un sorriso gli attraversava il volto, quasi pianto agli occhi
“Potremmo perdonarci, potremmo guardarci negli occhi, ora che non è ancora domani, possiamo... dobbiamo...”
Vuoto di imbarazzo, come niente è già domani, uguale a ieri, la stanza è ferma nel centro dell'intenzione.
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