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Ritorno a Barge

Scese dalla corriera che diluviava. Una parete invalicabile si frapponeva tra lui e il mondo. La porta della vettura si richiuse. E l'autobus ripartì. Lasciandolo relitto nel precipitarsi d'acqua che, scorrendo lungo il vicino marciapiedi, finiva per formare un torrente capriccioso. Spiccò un salto, ponendosi al riparo del parapetto della stazioncina. Girò attorno all'edificio ormai in disuso, portandosi sotto la pensilina del primo binario.
"Stazione di Barge"Avvertiva un cartello, mezzo divorato dalla ruggine e quasi sepolto dalle ortiche, precipitato giù dalla tettoia del corpo principale. Barge pareva essersi dissolto, sommerso dalle cateratte. Così come la ferrovia del Monte Pellice era ridotta a linea fantasma da molti anni.
Nessuno lo stava aspettando. Mise giù la valigia, sedendo su una panchina, residuato di altri tempi, quando veniva in quel luogo ad attendere l'arrivo del padre. Accese una sigaretta. Trasse un respiro profondo, lasciandone sfuggire il fumo lentamente dalle labbra socchiuse. Le stesse labbra che, un giorno, avevano pronunciato il fatidico"devo partire!"
La madre l'aveva guardato supplicante allora. Gina, il suo amore, aveva chiuso gli occhi e poi li aveva sbarrati. Ma lui aveva insistito. Lei gli aveva aperto il cuore. Constatato che non c'era altro da fare, aveva lasciato che si allontanasse senza dire una parola.
Era andato, di strada ne aveva macinata. Aveva persino attraversato oceani, combattuto guerre, subito prigionia e ferite.
Era quasi estate, ma la luce andava sparendo velocemente, disciolta in pioggia nel pomeriggio tardo. Ad un tratto, con la coda dell'occhio, gli parve di cogliere un movimento nella penombra proiettata dall'edificio.
Non si sbagliava: c'era qualcosa di vivo lì, oltre lui, Le nubi si facevano sempre più basse sulle robinie d'intorno. Cespugli prorompevano dalle traversine dei binari e dal cemento delle banchine: il buio avanzava a grandi passi, rendendo difficile distinguere tra le ombre. Ma lui, nonostante l'età avanzata, aveva un senso vigile, desto ed allenato. Rimase al suo posto come nulla fosse. Quando gli parve il momento opportuno, con un balzo felino, si lanciò nella macchia oscura che si stendeva fino alla cabina del capostazione. Come un gatto ne riemerse con in bocca il topo: un ragazzino tremante e terrorizzato. Lo liberò subito, scusandosi. Poi, meravigliato: - Che ci fai quì, da solo a quest'ora?- Chiese. Non poteva avere più di undici o dodici anni. Quello insisteva a restarsene zitto, con lo sguardo fisso a terra. Insistette: - Scusa se sono stato aggressivo. Non volevo spaventarti. Come ti chiami?- Il fanciullo indugiò ancora un po', lasciandosi andare a qualche smorfia, sintomo di insofferenza. Alla fine, come rassicurato,rispose: -Marcello.- Come me, pensò tra se e se, indagando quel viso smunto; i capelli che erano un cespuglio di ricci ribelli e neri, gli occhi sfuggenti, le gote arrossate dal sole della montagna; e magro, dannatamente magro, era. Intanto il ragazzino aveva preso coraggio: E tu come ti chiami?-
-Marcello- si sentì rispondere come in sogno -...Però non mi hai ancora detto cosa ci fai da solo in questo posto abbandonato.
-E tu? Non sei di quì, non ti ho mai visto.
-Hai ragione. Però sono anch'io di questi luoghi.
-Non ci credo.
-Sono andato via che dovevi ancora nascere: quanti anni hai?
-Dodici.
-Sei giovane, dovresti essere a casa.
-Come mai sei andato via?
-Volevo diventare grande.
-E lo sei diventato?
-Può darsi. Ma ora dimmi di te.
Io vivo nella torretta, oltre gli scambi. - Disse indicando un luogo astratto nella vegetazione lussureggiante.
-Da solo?
-Ci sta pure mia madre.
-E poi?
-Non so...
-E vi lasciano stare?
-Non diamo fastidio a nessuno.
-Sei troppo piccolo, mi stai mentendo
-E' vero!
-Non vai a scuola?
Non fece in tempo a ricevere risposta: venne accecato dai fari di una macchina che, svoltando dal lato dell'edificio, da cui era venuto lui, venne a posteggiare proprio di fronte alla panchina. Ne discese un uomo, dalla divisa un ferroviere anziano, dalla faccia disegnata di rughe: - E lei?- Gli chiese con evidente meraviglia.
-Aspetto che spiova.
-Per fortuna ha quasi smesso...- Il ferroviere esitò. L'occhio vide la valigia accanto ai piedi dello sconosciuto. Poi un sorriso illuminò il volto del nuovo arrivato, ringiovanendolo di parecchio: -Ma tu sei Marcello!-
-Tu sei Tommaso, vero?-
-Vero come il sole, cugino mio!- esclamò questi abbracciandolo- Pensavamo che non saresti più tornato: se non l'avevi fatto a causa della tragedia, a maggior ragione, non ti saresti fatto più vedere.-
-Invece eccomi qua.
-Dove pensi di alloggiare?
-Alla mia vecchia casa
-Mi dispiace molto per come sono andate le cose...
-Non importa. E' passato tanto tempo ormai. -Disse, ma, non visto, rabbuiandosi in volto.
-Comunque, qualsiasi cosa tu abbia bisogno, abito sempre nella stessa casa dei miei genitori, a cinquanta metri da quì... Anzi, se vuoi venire: saremmo felici, io e Sara, di ospitarti.-
-Grazie, ma, un altro giorno, di sicuro verrò volentieri.-
-Capisco. Ci vediamo allora. Sappi comunque che ti aspetto. - Disse il cugino accomiatandosi.
Marcello, rimasto solo, accese un'altra sigaretta. Con la mente cercò di riandare alle parole di Tommaso. Ma non gli veniva nulla: da un pezzo aveva smesso di pensare a ciò che era successo in sua assenza. Non avrebbe potuto farci niente: era stato ferito e fatto prigioniero. E questo era tutto. Con lo sguardo si perse tra le erbe alte.
-Veramente sono scappato da scuola...- Si girò: il ragazzino era tornato. Ora gli sedeva accanto sulla panchina. Ed aveva parlato con tono quasi contrito. Gli diede uno sguardo complice: -Anch'io sono scappato un giorno da scuola.-
-Mi avevano detto che tornava mio padre.
-Era da tanto che non lo vedevi?
-Mai conosciuto.
-Hai atteso invano.
-Si signore.
-E non ti hanno detto il motivo?
-Sto aspettando ancora adesso.
-Una verità inconfessabile.
-Una cosa da adulti, mi ha sempre detto mia madre. Ma io non ci voglio credere, allora vengo qua.
-E tua madre?
-Tra un po' mi verrà a cercare...
-Forse è meglio che vai a casa.
-Ma tu perchè sei tornato?
-Perchè c'è stato qualcosa che è successo tanti anni fa, ed io non c'ero. Ci fossi stato, magari non sarebbe accaduto. O forse sì...vorrei capire...-
-Io ricordo soltanto che, tanto tempo fa, ero venuto in stazione. Giocavo da solo tra i vagoni, nell'attesa. Poi ho sentito un dolore forte e nulla più. Ho fatto in tempo a risvegliarmi che c'era la mamma accanto a me. Da allora...
-Adesso forse capisco... - Si sentì dire con tono assente, distaccato. Un
desiderio impellente si era fatto strada nella mente, propagandosi alle membra: doveva riposare. Si sentiva improvvisamente troppo stanco. Una stanchezza invincibile. Accese un'altra sigarettta. In quel mentre la vide venire verso di lui, fendendo le ombre, più bella che mai.
-Ecco la mamma!- Disse il ragazzino, correndole incontro.
Fu Tommaso a trovarlo, all'alba, mentre andava a prendere la macchina per andare a lavorare, era ancora seduto sulla panchina. Il viso, sfiorato da un riflesso: contrariamente a quel che si potesse pensare, aveva un qualcosa che ispirava una certa serenità. Il sole splendeva trionfale nel giorno verde, scintillante di gocce piovane: diamanti di verità destinati ad evaporare silenti.

............Fine........

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