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L'amore vince la morte - 8,9,10 + epilogo

8.
 
   Quando l' anima di Matteo si reincarnò, nel 2017, erano passati solo quattro anni della vita terrestre dalla sua prima morte.
   La sua sosta nel mondo dei “ritornanti” era durata un tempo limitato. Dopo che aveva accettato l’idea di “ritornare”, tutto era ridiventato temporale per lei, e si ricordava esattamente, come se l'avesse formulata un attimo prima, l’ultima domanda che si era fatta lì dentro, ed a cui non era stato risposto: « Perché, se devo rincontrare Francesca, non può succedere qui, nel mondo dei morti? »
   Si ricordava esattamente anche tutta la sua vicenda: la vita precedente, la sosta nell’aldilà e quell'ultimo passaggio nel mondo dei “ritornanti”. Sentiva fisso il ricordo di Francesca dentro di sé, e lo sentiva anche nel sottofondo nascosto della sua nuova mente, quella che si stava a poco a poco formando nel suo nuovo corpo di bambino.
   Naturalmente, man mano che diventava un "io" e la mente razionale prendeva il sopravvento sull’anima, perdeva di vista il suo passato e alla fine non seppe più di star vivendo una seconda vita.
 
   Crescendo ed iniziando ad usare il raziocinio, capì che era ancora in Italia, ma non più a Milano. Ora viveva in un paesino della Toscana, a pochi chilometri da Firenze.
   Si chiamava Leonardo ed era un bambino normale, sano, allegro, molto intelligente. Di diverso dalla norma aveva solo il fatto che sentiva una sottile presenza nella sua coscienza, una sorta di "numero 2", che ogni tanto si faceva vivo: quando parlava con se stesso, quando era perso nella rabbia o nel dolore o quando sognava ad occhi chiusi e ad occhi aperti…
   Sentiva un’altra presenza dentro di sé insomma, con cui poteva parlare o con cui doveva trattare quando stava per fare qualcosa che lo attraeva e che non era sicuro fosse bene fare.
   Quando crebbe, e studiò, pensò che si poteva trattare di quello che la psicoanalisi chiama inconscio, o di quello che chiama super-io, perché ovviamente non poteva neanche immaginare la verità. Ma quella presenza - l'avrete capito - non era altro che il ricordo dell’ “io” di Matteo,  dell' “io” che aveva avuto nella vita precedente.
   Sono queste le misteriose leggi dell’essere, sapete. E sono così semplici in fondo, che è solo la nostra superbia di uomini razionali e moderni che ci impedisce di intuirle. L’energia circola liberamente, e continuamente, e quell’energia non è altro che Dio, l’insieme infinito di tutte le possibilità.
 
   Diventato  adolescente, in Leonardo si formò anche un ideale di donna, quell’ideale che si forma in tutte le menti dei ragazzini quando cominciano ad essere attratti dall’altro sesso. E quell’ideale aveva dei caratteri molto simili a quelli di Francesca ventiseienne, com'era quando l'aveva conosciuta nella vita precedente.
   Ma anche questo, certo, lui non poteva saperlo, e quando fu giovane cominciò ad avere vari amoretti con ragazze completamente diverse da lei. Cominciò a conoscere il sesso e la passione, la voglia e il dolore, tutte le cose che sempre sono legate all'eros... Ma non si fermò mai a lungo con una ragazza, ebbe solo tanti fleurt e mai un grande amore.
   Finite le scuole superiori, si trasferì a Milano, per iscriversi a medicina. E quando fu al terzo anno, fu inviato a fare tirocinio nel reparto maternità dell'ospedale Niguarda, proprio dove lavorava Francesca, che aveva ormai cinquantadue anni ed era diventata caposala in quel reparto.
   Ed è inutile che vi dica - a questo punto - che appena arrivato lì,  Leonardo la incontrò.
 
   Si cari, è così che avviene. Quello che noi chiamiamo destino non ci spinge a caso. Segue un disegno sensato, quasi razionale. Tutto è segnato nella infinita mente di Dio, e noi siamo solo gli inconsapevoli attori dello spettacolo che lui, come un grande regista, inventa e mette in scena senza sosta. Noi siamo gli attori e lui, Dio, è il regista e nello stesso tempo l’unico spettatore.
   Il nostro vero dovere quindi è svolgere bene la nostra parte. Interpretare al meglio il ruolo che Lui ci ha assegnato, e contribuire così alla riuscita della “grande recita universale”. Se Pirandello lo avesse capito, questo, non sarebbe stato lì tanto a drammatizzare, avrebbe accettato con gioia questa verità e avrebbe consigliato al suo Mattia Pascal, di cambiare tranquillamente il suo ruolo e di godersi la nuova scena in cui era capitato.
 
 
9.   
 
   Nel momento in cui vide Francesca per la prima volta, Leonardo sentì come una scossa dentro. La guardò un attimo negli occhi e fu da lei riguardato con intensità. Incrociarono i loro sguardi fulmineamente, mentre il primario li presentava, e sentirono subito uno strano senso di pace. Soprattutto lei, che ormai, dopo venticinque anni, si ricordava appena, e vagamente, il senso di pace assoluta che aveva provato durante i giorni in cui l'anima di Matteo l'aveva "visitata".
   Non ripensò subito a quell'episodio della sua vita però, sentì per un attimo quella calma passargli nel cuore e poi si riprese. E lo stesso successe a lui: registrò quella strana sensazione e poi si perse nelle incombenze del suo tirocinio.
   Ma quando il secondo giorno si rincontrarono da soli, la mattina presto, e lei lo accompagnò al letto della paziente che lui doveva seguire, cominciarono a parlare un po' da soli. E al suono reciproco delle loro voci, sentirono un nuovo flusso di forte energia, che li incantò, e che li costrinse, stavolta,  a chiedersi insistentemente di cosa si trattava.
   Lui pensò per un attimo all'amore, al colpo di fulmine. Guardava quella signora molto più grande di lui, e la vedeva ancora attraente, interessante, sensuale; e in più con un'aria da donna vissuta, piena di forza e sicurezza, causate magari da dolori subiti e poi abbondantemente superati.
   Fu affascinato anche da quella forza, dunque, e su quella forza fu spinto ad adagiarsi, sentendosi subito attratto dall'archetipo antico della madre.
   Lei, d'altra parte, godette nell'ostentare quel suo mood materno con un novellino tenero e tenebroso come Leonardo, un ragazzo che risvegliava in lei, tra l’altro, tutta la voglia del figlio che non aveva mai avuto.
   E così tra loro si creò quello che si chiama un "feeling naturale", una simpatia non causata da nessuna precisa ragione, una chimica di corpi e di menti che spinge inesorabilmente due persone l'una verso l'altra.  
 
   Combatterono per un po' quello strano senso di attrazione, frenati sia dai trent’anni che li dividevano, sia dalla correttezza professionale che esigeva da loro un certo distacco. Ma una sera, quando fecero insieme il turno di notte e lei, dopo avergli portato una tazza di thé, si sedette un attimo sul bordo della brandina dove lui riposava, furono immediatamente "flesciati" dal classico deja-vu da reincarnazione. Francesca fu colpita più semplicemente da una sorta di ricordo ancestrale, perché la posizione dei loro corpi su quel letto le fece immediatamente venire in mente le situazioni simili vissute con Matteo; e Leonardo dalla misteriosa sicurezza di aver già vissuto quella scena, in un'altra vita.
   Per questo, dopo cinque minuti che parlavano, si sentirono invasi da un sentimento che univa in sé emozione, entusiasmo, apprensione e vera e propria paura.
   A quel punto Francesca non resisté, e dopo poco, turbatissima, si alzò di scatto e si allontanò quasi di corsa. Ma in lei come in Matteo rimase fortissima un'impressione di "destino che bussa alla porta".
 
   Faticarono poi per non tornare a cercarsi, e Leonardo, quando restò solo, pensò alla teoria sul colpo di fulmine che una volta aveva sentito esporre in un film.
   Diceva che il colpo di fulmine avviene quando si incontrano due persone che si sono già conosciute in una vita precedente. E che non conta il grado di conoscenza raggiunto in quella vita. Può essere stato anche solo un incontro fuggevole, passeggero. E' l'emozione incontenibile causata dalla sicurezza che si possa vivere più di una vita a provocare l'attrazione fatale tra i due; che "si ritrovano" e che, seppure in modo inconscio, "si riconoscono"...
   Quella sera dunque Leonardo ripensò a quella teoria, che ricordava averlo colpito tantissimo, perché era talmente suggestiva da diventare appunto credibile. Ed intuì, per un solo attimo fuggente, l’intera verità di quella storia.
   Poi la scacciò, quell’intuizione, perché come tutti noi moderni, entrato nella zona buia del mistero, ebbe paura e rimosse quei pensieri come improbabili e senza senso.
 
 
10.
 
   Da allora comunque fu fuoco che cova sotto la cenere tra loro: ad ogni sguardo, ad ogni parola, ad ogni sfioramento di corpi... Ogni volta che si incrociavano, risorgeva in entrambi la splendida sensazione di attrazione-paura che li aveva assaliti quella sera.
   Cercarono di resistere però, tennero quella loro affinità in una sorta di stand-by, ma non riuscirono a fare a meno di gustarsi la calma e l’euforia che ogni volta provavano nel guardarsi, nell’ascoltarsi, nello sfiorarsi… Ci girarono intorno per quasi due mesi insomma, a quell’attrazione, finché un giorno, quando lui le chiese un passaggio per tornare a casa e lei lo accompagnò, successe l’inevitabile.
   Quando furono fermi davanti al palazzo dove Leonardo abitava, un palazzo abbastanza isolato in una stradina di periferia, lei fu come travolta da un raptus: si piegò su di lui, gli mise una mano sulla coscia e lo baciò passionalmente.
   Poi, dopo essersi persa in quel bacio per tre-quattro minuti, si staccò di colpo e tornata sulla terra, vergognandosi di aver quasi assalito un ragazzo che poteva essere suo figlio, con tono concitato gli disse: « Scusa, scusa, non volevo... e' stato più forte di me... » aprì lo sportello dalla sua parte e lo spinse a scendere subito.
   Lui allora, ancora in trance per quel bacio da cui si era sentito divorato, scese senza dire niente. Salì in casa con lo sguardo sognante e non riuscì a chiudere occhio per tutta la notte: dall’agitazione, dall’emozione…e dall’eccitazione.
 
    Il giorno dopo si recò al lavoro con un desiderio intrattenibile di rivederla, e quando fu di nuovo davanti a lei, le mostrò chiaramente, con uno sguardo rapito, la voglia che aveva di essere di nuovo travolto.
   Lei era più attraente del solito quella mattina. Aveva i capelli lavati, era vestita in modo carino ed elegante e aveva lo sguardo tirato e sensuale che può avere una diciottenne appena ha scoperto i primi segreti dell’eros. Quando vide lo sguardo implorante di Leonardo, si sentì attratta dai suoi occhi come da una calamita e disse subito con la voce tremante: « Dopo andiamo a casa mia, vuoi? » « Si rispose lui, voglio, voglio...»
 
   Al termine del turno uscirono insieme e restarono come impauriti e in silenzio fino a che non furono dentro l'appartamento di Francesca. Lì lei posò la borsa e le chiavi, andò davanti a Leonardo e lo baciò, di nuovo, passionalmente. Poi lo spogliò, con sicurezza e - come si dice – “gli fece l'amore”, senza neanche spogliarsi. Lo baciò e lo leccò dappertutto e lui, completamente travolto dalla voglia con cui Francesca "se lo prendeva", perse la testa e si lasciò travolgere.
   Sembrava che lei avesse una vera fame di lui. Sentiva all'improvviso la possibilità di riempire quel vuoto spinto che l'aveva tormentata per più di vent'anni, da quando non aveva più sentito accanto a sé la presenza rassicurante dell'anima di Matteo. E in quel momento, pur in mezzo a quel mare di passione, riprovò lo stesso stato di calma assoluta che aveva provato in quei giorni lontani.
   Si persero entrambi in quel momento di amore totale insomma, in cui sentimento ed eros, sesso e tenerezza, vita e morte si mischiavano inestricabilmente, ed uscirono del tutto dal mondo, addormentandosi poi beati, come se fossero in trance.
   Qualcosa finalmente si era compiuto. L’energia universale aveva rimediato ad uno dei suoi sfalsamenti e tutto intorno a loro, in quella camera, emanava gioia, e forza, e perfezione.
 
 
Epilogo
 
   Ma il giorno dopo, svegliandosi l’uno accanto all’altra e riprendendo una normale coscienza, si vergognarono di essere lì insieme, immensamente.   
   Si sentirono come due peccatori che hanno profanato un'unione sacra. Un senso di colpa gigantesco li assalì e non riuscirono a restare accanto un momento di più. Lui si vestì in fretta, senza dire niente, ed uscì. Lei pure restò in silenzio e quando fu di nuovo sola, rimase come inebetita a riflettere su quello che era successo.
 
   Quando si ritrovarono, in ospedale, furono entrambi assaliti da un imbarazzo insopportabile, qualcosa di grande impediva loro non solo di guardarsi, ma addirittura di stare vicini. L’attrazione restava fortissima, ma era appunto talmente forte da metterli in imbarazzo. Era come se stando vicini, non avessero potuto resistere dal toccarsi, dall’abbracciarsi, dal baciarsi; anche lì, in pieno reparto, davanti a tutte le degenti e a tutto il personale.
   Passarono quella giornata sforzandosi in tutti i modi di fare finta di niente, di non pensare a quello che era successo e di incrociarsi velocemente solo quando era strettamente necessario. Comunicarono con degli stentatissimi monosillabi, cercando di non restare mai assolutamente da soli. E la sera, quando tornarono a casa, si sentirono finalmente  “fuori pericolo”, e quindi un po’ sollevati. Avevano entrambi capito che non era possibile. Che quel primo incontro amoroso doveva restare unico e che la loro storia non poteva essere un amore come tutti gli altri.
   Il perché non riuscivano bene a capirlo. Pensarono che fosse il tabù della differenza di età che impediva loro di vivere tranquillamente quella storia. O che forse li aveva impauriti l’intensità emotiva che avevano sentito nascere quando si erano toccati. O che magari c’era qualche altra ragione, imperscrutabile, che a loro non era possibile individuare.
   Da quel giorno comunque cominciarono ad evitarsi. Sentivano che se avessero rifatto l’amore, avrebbero di nuovo provato dei sensi di colpa tremendi, e questo dava loro la forza per non pensarsi, per iniziare a scacciarsi l’uno dalla mente dell’altra.
   Alla fine, quando il tirocinio di Leonardo fu finito, si persero di vista, definitivamente. Non si scambiarono numeri di telefono o indirizzi, e furono quasi felici di non sapere più niente l'uno dell'altro.
 
   Francesca però, appena sentì di averlo davvero perso, e capì di aver rinunciato deliberatamente a lui, resistendo all'attrazione inesorabile che aveva provato nei suoi confronti, sentì nascere ancora un grande senso di pace dentro di sé. Risentì ancora stati d'animo simili a quelli che aveva provato quando l'anima di Matteo le era stata vicina, ed intuì pienamente la verità di quell’incontro.
   La intuì soltanto, ovviamente, non ebbe mai la sicurezza razionale che le cose stessero veramente in quel modo. Decise di raccontarsi quella verità, di crederci, anche se non aveva assolutamente nessuna prova.
   Quello che la spingeva a crederci era solo la grandissima somiglianza tra gli stati d'animo che aveva provato nell’“incontro” con l’anima di Matteo e quelli che aveva provato nell’incontro con Leonardo, quando l’aveva amato…e quando l’aveva perduto…
   Si accontentò di quella illusione, insomma, riuscì ad adagiarsi su di essa e visse tutto il resto della sua vita in totale serenità. La sola possibilità che potesse essere così, che l’unione e l'amore potessero continuare anche dopo la morte, le dettero davvero un senso di “pace eterna” e la fecero anche riavvicinare alla religione.
   Capì infatti, o meglio anche in questo caso intuì, il senso esatto della metafora che la religione rappresenta. Capì che la religione parla con il linguaggio del mito e che con quel linguaggio tenta disperatamente di far capire ai vivi quello che viene raccontato in questa storia.
 
   Con gli anni Francesca si apprestò tranquillamente alla morte, senza quasi più alcuna paura, se non quella che si associa sempre alle grandi, grandi emozioni; quelle emozioni che sono talmente grandi, appunto, da spaventare la nostra povera singola anima.
   Quando a 78 anni morì e si trovò nel mondo degli "aspettanti", pensò di nuovo a Matteo, con forza, e si chiese, sempre con forza, se ora poteva in qualche modo ritrovarlo.
   Lanciò quella domanda nel flusso energetico che circola continuamente in quel mondo; la lanciò decine di volte; ma non le fu mai risposto. Allora ebbe la grande illuminazione che la rimise in carreggiata nei misteriosi sentieri dell'essere: pensò a Leonardo e non a Matteo, e dopo un po' che si era concentrata su quel ricordo, cominciò a "sentire" qualcuno dei suoi pensieri.
   Ogni tanto avvertiva quella scossa, quell'input, che le diceva che lui la pensava ancora; e concentrandosi sui quei pensieri, riuscì alla fine a distinguerne qualcuno:
   “ Qui ci vorrebbe un'infermiera come Francesca... Lei aveva quell'esperienza pratica e quella “dignità materna” che sono l'ideale in queste situazioni ”...
   “Chissà come sarebbe stato un altro incontro con lei... Forse ancora più bello del primo ”...
   “Sarà ancora viva? Mi piacerebbe tanto rincontrarla”...
   E così via. Pensieri innocenti, insomma, semplici, ma che le davano l'assoluta certezza che Leonardo la ricordava e che quel loro incontro era stato decisivo anche per lui.
   Allora, sapendo che poteva farlo, Francesca andò a "trovarlo" nel suo studio di primario del reparto maternità dell'ospedale S.Orsola di Bologna. E  Leonardo alzò la testa sorpreso, e sorrise quasi ironicamente, quando sentì all'improvviso circolargli intorno quello strano e inspiegabile "fruscìo di vento"...    
  
continua...
 
N.B. Ma stavolta è la storia tra loro due che continua, non il mio racconto. Sta a voi immaginarvi cosa può succedere ora.
 
Questa è solo una fiaba per adulti, carissimi (e pochissimi) lettori, ma come avviene con i bambini spesso le fiabe hanno un potere evocativo, che può far nascere speranze, emozioni e desideri di bellezza...
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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