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Corsa unanime

 
 
Di colpo il verde abbassa il canapo al semaforo
e nasce il traffico per molto meno dell’arcobaleno.
La velocità allunga il percorso con una leggera spinta
ad alzarsi. Il desiderio vibra nell’abitacolo
più del motore: come un bosone, ti accorgi che esiste
perché vi fai attenzione, noti la particella dalla scia
che fa apparire il tunnel. E’ l’addio la lente più profonda.
Allora che fa la strada? Si stringe, riunisce i lati
con un pizzico dato dai marciapiedi sulle palpebre.
 
Palazzi, lampioni, giardini, pare vengano incontro
per l’aggressività del cemento, intatta
nonostante il parabrezza la comprima
in sequenze immutabili. Prese da un numero
più grande di noi, non si possono tenere.
Corre il fuoco negli occhi, corre e vuole bruciare,
ma, sedute ai lati, porta le cose al racconto della corsa.
 
Il guidatore accerta il rinvenimento sommario dei luoghi
nonostante la precipitosità convulsa. Tuttavia,
non tutto è perso perché mai tutto sarà raggiunto.
In mente, i particolari cementano in modo diverso,
meno agevole, polveri da papiri nel tempio.
Ti portano scrupolosi nella storia, che è una emozione
più che un’atmosfera della sera. Dai confini
dell’impero d’oriente, viene lanciata una palla di corallo eterno
per distinguerla dalle cose passeggere, e non si ferma
se sei a piedi. Perché tu sei a piedi e vuoi attraversare
lo spazio per la carità di un pensiero, ma ore bianche
e nere si succedono incalpestabili e sospese.
 
La corsa unanime è meno plausibile del mare ondoso,
dove la sottile sabbia scorre e le onde si ergono
con un criterio di fondo: introdurre la schiuma più scivolosa
nel tempo che visiti come fermento curioso. Eppure,
il tempo si può raggiungere: da oriente, dov’è passato,
a occidente, dov’è futuro, e lì viene l’onda dalla luna,
arabesco di una volta, una volta ancora come vorresti.
 
Una volta, ricordo, biciclette e gambe
usavano la stessa catena. Era di sera, era un’impresa
prenderti, tu eri almeno la sera, senza fissa dimora.
Lontana da quella prima ora che sempre mantiene
l’attesa alta in chi è carico di minuti. Congegnata
come una prospettiva assente nello sguardo
vivo, acceso da una scia di particelle deboli,
da sole.
 

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