L’anima nella gabbia | Prosa e racconti | Igor Giff | Rosso Venexiano -Sito e blog per scrivere e pubblicare online poesie, racconti / condividere foto e grafica

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L’anima nella gabbia

        La seconda guerra mondiale dilagava e mancava poco all’attacco giapponese di Pearl - Harbor.  Nel frattempo alle Hawaii la vita scorreva piano, con serenità, come sempre. Le isole “nuotavano” molli sotto le carezze del sole e niente tradiva l’orrore che stava per arrivare.
 
      Una barca navigava lentamente sulle onde dell’oceano. Sulla sua scia i gabbiani pescavano pesciolini nella schiuma. Ero fermo sul ponte e fumavo la pipa. Guardavo il sole che tramontava: sembrava un disco gigante che affondava lasciando una lunga scia rossa. L’isola era lì, all’orizzonte.
 
        Sono ormai vent’ anni che faccio lo stesso percorso: dal continente all’isola e viceversa. Dal continente di solito trasporto cibo, medicine e altre merci. Dall’isola, invece, torno sempre con la stiva vuota.
 
         Questa volta era diverso: oltre al solito carico, a bordo c’era un passeggero – una donna. Era vestita di nero, aveva un cappellino con un velo spesso che le copriva il viso, indossava guanti di colore pure molto scuro. Passava intere giornate nella sua cabina, usciva sul ponte solo di notte. Alcune volte rimaneva immobile accanto al bordo e ammirava il cielo notturno. Le notti al sud sono veramente stupende: nel cielo scuro e trasparente brillano migliaia di stelle che si specchiano sull’oceano, creando l’illusione di un modo irreale.
 
          Stava andando sull’ isola perché lì viveva il suo fidanzato.
 
       In questi casi si dovrebbe augurare una vita futura serena e felice. Io, però, non riuscivo a pronunciare una sola parola, perché ero l’unica persona cui era stato affidato il suo segreto. Per molte ore rimanevamo in silenzio all’aria aperta, godendoci la fresca brezza notturna. Non sapevo di cosa parlare con lei: non volevo fare domande personali, non era mia abitudine,e lei rimaneva taciturna.
 
           Nella sua cabina aveva una gabbia con un corvo bianco. Di notte lo portava fuori e lo lasciava volare liberamente. Dopo due, tre giri sopra la barca, l’uccello tornava nella gabbia. Ricordo una notte: il corvo era appollaiato sulla spalla della ragazza e si puliva le piume con il becco piegato all’ in giù. Ogni tanto l’uccello mi guardava, come se volesse capire che tipo di persona fossi.
 
           Guardando l’acqua, la ragazza mi sussurrò:
 
        -Qualche volta, se prendi un po’ d’acqua in mano, trovi delle stelle che vi si specchiano dal cielo. Vorrei andare nel cielo con loro …
 
         -Le vere stelle sono sopra di noi, molto lontano. Quelle nel mare sono belle, ma sono soltanto riflessi-, risposi.
 
         -Sì, lei ha ragione: però queste sono così vicine! Devi solo tendere la mano e le puoi toccare. Le stelle vere non si lasciano mai toccare.
 
         -Nella vita ci sono tante illusioni, quelle in cui crediamo, e che poi si trasformano in delusioni. Lei, ad esempio, prende in mano una stella ma trova solo acqua di mare … Non vorrei dare consigli, è la sua decisione, però credo stia facendo un errore, non deve andare su quell’isola. C’è ancora tempo per cambiare idea.
 
          All’improvviso il corvo rabbuffò le piume e iniziò a sbattere le ali.
 
        - Quest’uccello è molto saggio, - disse ad un tratto la ragazza - a volte sembra che in questo corvo ci sia la mia Anima. Sa, prima i corvi erano tutti bianchi. Dopo aver portato brutte notizie ad Apollo, lui li trasformò in neri.
 
        - Molto interessante. Non ne sapevo nulla. Il suo corvo però è bianco, lei può stare tranquilla.
 
        - Spero che rimarrà così per sempre e non cambierà mai il suo colore- disse e mi guardò attentamente. – Se non ha nulla in contrario, vorrei fare una prova.
 
       Ero un po’ sorpreso, ma accettai la proposta. La ragazza liberò il corvo. Mentre l’uccello faceva un giro al buio, prese un po’ di grano. Lo mise nella mia mano e disse:
 
    -Se mangia dalla sua mano significa che lei è una brava persona. Se non vorrà mangiare … lo farò mangiare io.
 
       Strinsi le spalle. Per un po’ si sentì lo sbattere d’ ali, poi l’uccello si fermò sulla spalla della ragazza. Dopo alcuni attimi, tesi la mano con i semi. Il corvo saltò sulla mia mano e, goffo, cominciò a beccare il grano.
 
        -Ha fiducia in lei, questo è un buon segno- disse.
 
       Solo adesso notai l’ anello con una scritta sulla zampa dell’uccello.
 
      -Cosa c’è scritto qui?- chiesi alla ragazza.
 
     -Anima. È in italiano.
 
      -È  bello avere sempre qualcuno accanto, -dissi con tristezza, - qualcuno che ti vuole bene e ti capisce.- Il corvo smise di mangiare e inclinò la testa. Sembrava che stesse ascoltando attentamente la nostra conversazione.
 
      -Almeno, la sua Anima è sempre con lei, la mia, invece, è molto lontana - continuai.- Vivo solo già da molti anni, sono divorziato da mia moglie. Lei sognava una vita normale, serena. Io, però, sono un marinaio, e con un marinaio la serenità si può solo sognare. Mia moglie si è stancata di aspettare. Non è stata colpa sua … A proposito, ha fatto caso alla casetta con il tetto rosso proprio di fronte al porto?- dissi cambiando argomento.
 
      -Sì, l’ho notata. Lì ci sono poche case, tutte così ben curate. Aspettando la sua barca ho fatto una passeggiata vicino al mare.
 
      -Quella è la mia casa. È molto comodo: due passi e sei arrivato. – Passai la mano sulle piume bianche dell’uccello.
 
      L’Anima altrui si era destata e aveva guardato direttamente nel mio cuore.
 
      Dopo mezz’ora la barca arrivò all’isola. Il pontile di legno era molto vecchio, e vicino c’era un deposito, anche questo piuttosto vecchio.
 
      Piccole casette dai colori vivaci formavano un villaggio. Non c’erano neanche le strade: i cortili erano divisi da piccoli sentieri coperti di ghiaia, abbelliti da fiori tropicali. L’unico edificio di pietra sull’isola era una piccola cappella. L’abitato era circondato dalle palme. Sembrava che gli alberi spingessero il villaggio verso il mare, proprio nell’acqua meravigliosamente trasparente.
 
     La barca, dopo aver lasciato il suo carico, lentamente si avviò. Ero sul ponte di comando e guardavo verso la riva: volevo vedere l’incontro della ragazza con il suo fidanzato. Dal gruppo degli abitanti dell’isola si era fatto avanti un ragazzo che si era avvicinato alla donna. Si inginocchiò davanti a lei. Sono abbastanza forte, eppure quello che vidi ha lasciato un’ impressione triste nel mio cuore. La ragazza mise la mano fra i capelli del suo fidanzato e si girò a guardare la barca che si allontanava. La gabbia con l’Anima era accanto a lei.
 
      Il 7 dicembre 1941 il Giappone bombardò Pearl – Harbor, il porto dove si trovava il cuore della flotta statunitense nell’Oceano Pacifico. Dopo l’attacco, l’America entrò in guerra.
 
      Piove da molte ore. Il tempo peggiora sempre di più. Si aspetta l’arrivo di un uragano. L’ultima volta che sono andato sull’ isola è stato sei mesi fa. Nel frattempo sono cambiate tante cose: iniziata la guerra, cominciai a trasportare anche armi. Una volta, di mattina presto, la mia barca fu attaccata da una torpedine Giapponese. La metà del mio equipaggio morì. Io e alcuni miei compagni riuscimmo a salvarci. Dopo molti mesi di cure in ospedale, non tornai più sulla barca; ora vivo da pensionato.
 
      Un giorno ero seduto sulla terrazza con un bicchiere di gin e mi ricordai della ragazza con il corvo bianco. Chissa come stava.
 
       Sentii uno strano rumore dietro la finestra. Dopo un attimo si ripeté. Sembrava che qualcuno bussasse per entrare. Impugnai la pistola e uscii per vedere cosa stesse accadendo: vicino alla mia finestra trovai un corvo nero.
 
     Subito il mio sguardo cadde sulla scritta dell’anello che aveva alla zampa. “Anima”. Nelle mie mani avevo un’Anima ferita e senza forze. L’uccello aveva cambiato il suo colore, era diventato nero.
 
    Quando il tempo migliorò, chiesi a un amico che aveva uno yacht di accompagnarmi sull’isola.
 
      Non esistevano più né il villaggio dove vivevano i malati di lebbra * né i suoi abitanti: tutto quello che trovammo, furono grosse buche causate dalle bombe e una grande quantità di cenere.
 
      L’unica cosa intatta che vidi era la gabbia aperta dell’uccello … La ragazza aveva liberato la sua Anima appena in tempo.
 
    Stavamo tornando a casa. Il cielo notturno pieno di stelle mi ricordava la conversazione con la donna. Presi un po’ d’acqua in mano e, con mio grande stupore, c’era rimasto qualcosa.
 
      Nella mia mano c’era una vera stella …
 
 
*- Lebbra- malattia che non si cura
 
 
 
 
 

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