A voler ben dire, è una traccia minima, un lieve spostamento, un nulla che tiene desta l'attenzione.
E allora il letto diventa una piattaforma irriverente che osteggia il corpo e ostacola il sonno.
Conto i miei giorni, ma i pensieri fanno a pugni con le immagini. Potrei fare un bagno di tiglio, ma questa cosa mi ricorda troppo “Il nome della rosa”.
In fuga da campi sterili, immersi nella melma. Alla quinta, passo alle palline colorate. In fondo è lo stesso. È la noia derivante dal meccanismo del contare che dovrebbe indurmi il sonno. Le palline, rispetto alle pecore, sono bizzarre.
Sì, perché il cervello mi ripropone l'immagine della mia camera da letto, identica e sovrapponibile a quella reale (priva però del tempo e della polvere). E le palline dispettose si vanno a cacciare dove vogliono loro, rotolano a terra in un carosello che acuisce maggiormente la mia attenzione.
Sento i rintocchi di un campanile. Li seguo. Uno, due, tre, quattro.
Apro un libro. La luce dell'abat-jour getta una penosa ombra che si frammenta in più parti sulla pagina. Perdo la concentrazione della lettura e mi smarrisco nelle piccole lagune formate dalle ombre.
Mi alzo. Sul balcone assaporo le sfumature del buio e del cielo.
Mi ricorico, infilo le cuffie, e accendo l'iPod.
Vorrei crollare in un sonno profondo. Ma il corpo tentenna, non vuole cedere alla ragione. La veglia, per lui è salvezza, un angolo recondito di paradiso.
Ha paura di abbandonarsi all'oblio.
Ammorbidisco il pensiero concentrandomi sul contrappunto musicale. Il fagotto esegue la sua partitura borbottando. Gli archi lo accompagnano chiassosi come gitanti fuori porta.
Sento la gravità del corpo che spinge sul materasso come la mela di Newton.
No, con le ciliege non ce l'avrebbe mai fatta. Sarebbero sfuggite alla sua attenzione, rotolate via, dimentiche nel prato. Forse lo sterco di un piccione sul vestito l'avrebbe indotto a guardare in cielo e a formulare l'ipotesi sulla legge di gravità? Forse.
Altri numeri computati da una attenzione vigile, razionale.
Voglio dormire. Per quel che resta della notte.
E così domani sarà nuovamente una giornata dalle palpebre pesanti e dagli sbadigli fuori luogo.
Vorrei sognare immerso in un sonno profondo, dove sogno di sognare e nel doppio sogno ugualmente, come un gioco di immagini riflesse negli specchi, ancora sognare di sognare. Praticamente un sogno elevato alla seconda, alla terza o quarta potenza. E allora la colonna sonora non sarebbe più la musica del sommo Vivaldi ma un sordo russare, indice di uno stato di sonno profondo e liberatorio.
- Blog di Rinaldo Ambrosia
- 631 letture