Ed è ancora Venezia che sotto una cappa di calore ci accoglie. È un ripercorrere luoghi noti, e se si fosse sdraiati su un lettino di uno psicanalista, sembrerebbe quasi una coazione a ripetere. In realtà, è un'overdose di bellezza, è un ubriacarsi, non di spritz, seduti in un bacaro, ma di spazi e di immagini.
Un carosello di chiese, monumenti, dipinti e scorci della città.
E sono le impressioni colte durante il giorno, dove la luce rende nobile anche un muro in mattoni, sgretolati dal tempo, a dare leggerezza e straniamento.
C'è una bellezza stratificata di istanti nella magia di un cielo limpido in laguna, dove mare e cielo si confondono in un'unica macchia di colore.
L'isola di san Lazzaro è un punto scuro che si annuncia a prua del vaporetto. Come pellegrini, attraversiamo il piazzale antistante le mura del Monastero Armeno, mentre la statua del Venerabile Abate Mechitar, fondatore della Congregazione, ci accoglie a braccia aperte.
E' l'augurio della giornata.
Nonostante il caldo, enfatizzato dal lastricato in pietra, dove il sole proietta la sua incombente presenza, l'ombra del chiostro è un'invitante oasi di tregua, un approdo gradito.
Con mia moglie percorriamo la visita del Monastero, ritorno su quei luoghi amici che mi hanno visto chinato su carte e antichi libri, dove ho trascorso giornate a porre rimedio e riparo all'azione del tempo.
Ma è accodati ad un gruppo di visitatori che il caso ammicca sornione. Tra il gruppo scorgo un viso conosciuto, è una signora che vedo abitualmente in Torino, dove gestisce una bancarella di libri. Ed è ancora il libro l'elemento cerniera del luogo e del tempo, storie di carta che assumono il ruolo di catalizzatori di incontri. Coincidenze?
Venezia, terminata la visita, ci fagocita tra le sue spire, ci assorbe tra le sue chiese e i suoi musei.
La cripta della chiesa di San Zaccaria mi riporta una forte suggestione - sarà per via dell'acqua - ad una immagine della cripta di Santa Sofia in Istanbul: un sacello per i fedeli e una riserva d'acqua in caso d'assedio.
Al Collegio degli Armeni, Moorat-Raphaël è un susseguirsi di persone che operano riprese cinematografiche. Un via vai di macchinisti che preparano il set, tecnici luci, truccatori, costumiste e comparse che scavalcano fasci di cavi che, come serpenti, si srotolano nell'atrio d'ingresso e invadono il giardino. Una comparsa, un ragazzo in panni settecenteschi, attraversa il viale del giardino. Una mastodontica parrucca contribuisce ad aumentare l'afa, già pesante, del giorno. Altre comparse in costume, sedute su una panchina del giardino, attendono l'inizio delle riprese. È suggestiva l'immagine di un nobiluomo che parla al cellulare.
Usciamo, attraversiamo il Ponte del Soccorso e entriamo all'Osteria Codroma. Rilevato da poco tempo, questo antico locale ottocentesco, l'attuale gestore mi fa notare l'arredo originale, perfettamente conservato e il particolare curioso della testa del Sig. Codroma, scolpita a sgorbia, all'epoca, da un ebanista appositamente chiamato ad arredare il locale. La testa è sul lato sinistro del grande specchio posto in fondo alla sala, sull'altro lato una analoga testa scolpita è il ritratto dell'artista ebanista.
Seduti a un lungo tavolo, Lella ed io consumiamo, prima di pranzare, il primo spritz della giornata.
A fianco di noi siede una coppia di romani e a capotavola un messinese, docente di filosofia, e residente a Venezia da anni. In questo spaccato d'Italia intrecciamo discussioni su questa città, sulla sua bellezza, su cosa rende romantica Venezia agli occhi dei turisti.
Ma è ancora il destino a giocare a rimpiattino. La signora romana è una restauratrice di affreschi. E su questo fatto, mosso da curiosità (è da mesi che mi sto documentando sui vari metodi e materiali del restauro conservativo relativo all'affresco), mentre i due uomini si scambiano battute e lazzi sulla politica, parte il dialogo sull'affresco. Parliamo anche di libri e di letture. Di biblioteche ricolme di libri. E il romanzo “Il raggio d'ombra”, di Giuseppe Pontiggia, dove il protagonista vive in una casa prossima al crollo dal peso dei numerosi libri stipati, è subito evocato. Ci confrontiamo e scambiamo opinioni dentro questa bolla di tempo sospeso (una goccia d'ambra) che l'Osteria Codroma ne è custode.
La sera, con Lella, incontro una mia amica, Maria Teresa Morry, conosciuta tramite “Rosso Venexiano”. È una amicizia, nonostante la marcata differenza dei caratteri, nata tramite questo sito. Ed è un piacere rivedere Maria Teresa. Trascorriamo una piacevole serata tra il nero di seppia e le sue parole che si arrestano, per un istante, sullo scatto fotografico a ricordo della serata. Nonostante la diversità del nostro scrivere, è ancora una volta la scrittura che veicola luoghi, situazioni e persone.
Alla sera, ci perdiamo lungo labirintiche calli che la città offre. A tratti, tra la calura, un effluvio di gelsomino, sale alle narici. È come se le siepi, nascoste all'interno delle corti, volessero affermare la loro presenza. Il tempo, immobile, offre un'immagine di una città dove i secoli si confondono e si arrestano sui luoghi. Ecco, la città in alcuni scorci, ha il proprio il potere e la magia di fermare il tempo.
Al museo Correr la mostra di Édouard Manet è spettacolare. C'è un dipinto che, nonostante la critica lo associ ad una precedente composizione di un dipinto di Andrea del Sarto, lo trovo di una immediatezza fotografica.
“Sur la Plage” sembra uno scatto di una Polaroid.
Su quel metro scarso di tela la moglie del pittore è completamente assorta nella lettura. A lato, con lo sguardo perso verso un orizzonte che è una esile striscia azzurra, c'è il fratello dell'autore. È la veletta di mussola che protegge il viso di Suzanne (che è gonfia come le vele delle barche all'orizzonte) a dare la reale suggestione, sulla pelle del visitatore, dei granelli di sabbia sollevati dal vento.
Per un singolare percorso che solo la mente è capace di produrre, l'immagine del dipinto “Vista sul mare”, del '52, di Edward Hopper, mi si riaffaccia alla mente. Il ricordo trasla la coppia. In epoche diverse, la stessa sospensione, gli stessi universi personali, la medesima melanconia.
Nel Sestiere San Marco, le sale del museo Fortuny sono immerse in una atmosfera che ricorda alcuni interni del film Blade Runner, dove la luce solare si arrende ad una penombra inquietante. Alcune tele dei maggiori protagonisti dell'arte del novecento, Klee, Mirò, Picasso sono appese alle pareti. Sembrano farfalle fuggite da un sottobosco e finite lì.
Emilio Vedova è riconoscibile dai suoi tratti densi di nero, che saturano, in una danza di gesti, l'intera superficie dell'opera. Si nota la sua personale pennellata.
La sera, presso la chiesa di San Vidal, un concerto degli “Interpreti Veneziani” ripropone la musica di Vivaldi, suoni che rimbalzano tra i muri della chiesa e tra i turisti (per la maggior parte stranieri) entusiasti. Ci abbandoniamo a questo percorso musicale, cullati dagli archi.
E al mattino del giorno dopo, una visita al mercato del pesce a Rialto ci restituisce un mondo di colorate creature marine appoggiate su un letto di ghiaccio. Un gabbiano predatore, plana sul banco e ruba un piccolo pesce. Catturata e ingoiata la preda, imperturbabile, ci riprova nuovamente.
E in questi giorni, è il nero di seppia, del tipico piatto: “le seppie alla veneziana”, che evoca il nero della pagina scritta. È il potere della scrittura che rimanda e rimbalza il ricordo, quasi un voler giocare a palla muro con i propri giorni trascorsi.
Poi, dopo numerose righe, come un tramonto, termina la pagina.
Altri scritti legati a Venezia:
La Calle – L'incontro – Istanti - Venezia, il Bellotto e dintorni – Il giardino segreto.
Sull'acqua (nel Blog: Maria 34)
- Blog di Rinaldo Ambrosia
- 1378 letture