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10- Mary, se solo avessi potuto fare qualcosa

Non riuscivo a dormire. La notte e il silenzio amplificavano il rumore dei miei pensieri e li facevano sembrare più dolorosi di quanto non fossero mai stati. Quella casa adesso era così grande e non era nemmeno 100 metri quadri. Mi guardavo intorno e tutto quello che quel letto, quelle lenzuola e quei cuscini mi ricordava facevano male al cuore.
Mi alzai cercando di distrarmi da quei pensieri e mi diressi in cucina. Appoggiai le mani sul tavolo e lo fissai, senza vedere niente sotto di me che non fosse il suo volto. Li chiusi. Li riaprii. Nulla era ancora lì e non accennava ad andarsene.
Non avrei mai dovuto raggiungere il salotto e prendere tra le mani la nostra prima fotografia. Prima e ultima s'intende. Erano passati ormai mesi, ma il suo ricordo non sarebbe stato spazzato via nemmeno quando i miei occhi, pieni di sonno, si sarebbero arresi all'inevitabile. Non volevo tirare avanti e basta: volevo riuscire a guardare quella foto senza più rimpianti. Quello sarebbe stato il giorno in cui avrei potuto vedere un futuro oltre quelle mura e una giornata di sole, dopo mille di pioggia.
Appoggiai la cornice davanti a me e mi versai un bicchiere di Rum: non era troppo invecchiato, ma bevendone un sorso dopo l'altro il suo sapore migliorava. Al terzo era il più buono che avessi mai sentito. Riempii il mio sguardo dei suoi occhi e cercai tra i miei ricordi il profumo della sua pelle, il tocco delle sue mani che cercavano le mie e i suoi passi silenziosi che nella notte cercavano i miei.
L'avevo conosciuta poco, due anni e qualche giorno, ma aveva lasciato il segno. Non ricordavo precisamente la data, ma i dettagli e gli sguardi complici che avevano accompagnato il nostro primo incontro sì. Un'amica l'aveva convinta ad uscire con noi, lei che non aveva mai la forza di camminare, non dopo una seduta di chemioterapia. Le faceva bene cercare di fingere di stare bene, accettare l'inevitabilità delle cose e brindare a quella vita che ogni giorno le concedeva qualche minuto in più.
Ricordavo quando le avevo chiesto di dirmi come facesse, come potesse addormentarsi ogni notte con il sorriso sulle labbra o con le lacrime agli occhi, con il coraggio di vedere oltre i secondi che l'orologio faceva scorrere senza tregua. Lei aveva risposto sicura, dicendomi che già la possibilità di poter ancora vedere il mio sorriso era un dono: io glie ne avevo regalato uno che potesse farla sentire meglio.
Quella sera, quella in cui avevo stretto per la prima volta la sua mano nella mia, non sapevo che fosse malata. Non seppi mai se si era trattato di un colpo di fulmine o se l'idea di vederci anche il giorno dopo fosse nata casualmente, ma la sua compagnia mi faceva bene: all'inizio aveva rifiutato, non voleva la mia compassione e non voleva avere sulla coscienza il mio dolore. Ma io ero più testardo di lei e le ero stato accanto per ore, in silenzio, senza fare altro che guardarla.
Scuotei la testa ritornando alla realtà e bevendo un altro sorso di rum. Avevo passato davvero quattro mesi a correre da un suo ospedale all'altro, nella speranza che mi ricevesse? Forse erano stati tre, ma comunque sì, l'avevo fatto. Ogni secondo della sua vita era prezioso e io volevo renderlo ancora più importate.
Sapevo suonare il pianoforte e le avevo dedicato una piccola suonata: non ero un musicista, sia chiaro, lo facevo a tempo perso, più per me stesso che per gli altri. Non avevo mai provato a suonare davanti a qualcuno, ma lei aveva insistito tanto perchè lo facessi e avevo lasciato che vincesse. Ogni volta che facevamo l'amore, dopo avermi stretto a lungo tra le sue braccia, mi chiedeva di suonarle quella canzone e io obbedivo.
Non avevo mai serimente considerato l'ipotesi che potesse morire, fino al giorno in cui il suo cuore si era fermato davvero. Non ricordavo nemmeno come andarono le cose perchè ero lì accanto a lei e il suo respiro aveva cessato proprio quando avrei voluto svegliarla. Poi ho il vuoto, un vuoto enorme, come se la mia mente avesse ancora un rifiuto profondo per l'accaduto.
E' il ricordo di lei che fa tremare il mio cuore ogni volta che vedo quella foto.
E' il ricordo di lei a rendermi irrazionale e scontroso con tutti, anche con quegli amici che mi avevano sempre visto sorridente.
Ti ricordo, Mary, come fossi ancora qui, ti ricordo tra le mie lenzuola, ti ricordo nella mia vita come una tempesta che mi ha reso complice di te. Mi hai travolto con i tuoi sorrisi, mi hai reso migliore spiegandomi la morte come solo una donna può fare.
Mi hai fatto capire che nessuno dovrebbe sentirsi solo e che tutti meritano un sorriso.
Nel ricordo di te mi perdo anche questa notte, nella speranza di non dover più dire 'Se solo avessi potuto fare qualcosa'.

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