Scritto da © Stefania Stravato - Dom, 15/01/2012 - 17:38
Discese correndo il fianco della montagna, a piedi nudi, saltando sulle radici nodose dei lecci, avvolta da un velo madido di luna. Il mondo taceva, immobilizzato in una sorta di magico stupore e soltanto il suo fiato era vivo, un'aerea creatura fremente, che fluttuava nella notte, disegnando danze di arabeschi avvinti a voli iridiscenti, che le stelle arrovesciavano sulle rive della sua bocca.
Lei conosceva la parola, il segno della luce, il segreto. E corse, corse ancora sentendo sulla pelle l'odore del cielo quando palpita d'infinito, corse sentendo scorrere le sue vene del tremore che attraversa i primi asfodeli baciati dal sole lieve d'aprile, corse e ancora corse, con le braccia schiuse ad ali, abbracciando quel canto muto adorno di argenti e infine, scivolò sull'argine del buio e mosse lentamente la mano, bianca, esile foglia, a posarsi là, dove il sussurro di un arcano, ancora palpitava, dal mistero, chiamandola per nome.
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