Quei favolosi anni '60 | Rosso Venexiano -Sito e blog per scrivere e pubblicare online poesie, racconti / condividere foto e grafica

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Quei favolosi anni '60

 

 

Moonwalker (Estate 1963)

Ritorniamo a sederci ogni sera
intorno al coro,
senza cantare. Sulle nostre
chitarre basse, accendini accesi,
barbe di rovo, ogni sera
in cui, ballando, abbiamo pensato
di essere Armstrong,
con la testa sulla terra
e i piedi sulla Luna.
Con dita di sabbia abbiamo aperto
papaveri di un tempo che fuggiva
Non eravamo il vento,
Non eravamo i re,
Soltanto i figli
di un reame inferiore,
disegnato dal rotolare
di una pietra
in una terra di birilli secchi.
La giovinezza è un sentiero corto,
dicesti sotto il muro di Ca’ Foscari
una notte in cui le frasi
sembravano labirinti di vetro.
E ti prendemmo in giro
un’ultima volta: “Dai Charlie,
cantaci Just Like A Woman”,
tu, una maglietta con su scritto Libertà
i tuoi jeans scoloriti
e la chitarra firmata dagli amici:
Giangi, Fede, Tito, Flower,
Marco, Trepang, Varo, Vicky, Maddi,
Eli, Angi, Stella. Tutti in punta di piedi
sui nostri vent’anni, per arrivare
a vedere al di là del muro
di quella notte infinita,
accartocciata come un ricordo
dentro un pacchetto di sigarette vuoto
©volans

 

Ricordi

Quest'è memoria d'anni favolosi
verdi tempi di gioventù trascorsa
quando in quel locale noi s'ascoltava
disco a due facce di quarantacinque

la compagnia di ragazzi tristi
la melodia così riproponeva
oppure s'innalzava la bandiera
colore giallo segno d'infelicità

giammai però noi s'era in quarantena
tempesta di cervelli giovanili
i sogni s'affacciavano frementi

le rosse gote preda d'emozioni
le ciglia s'abbassavano tremanti
segno furtivo ai primi appuntamenti

©4797orizzonte2

 

Che mi importa del mondo…

La giornata era proprio iniziata male... Piatti nel lavello che aspettavano di essere lavati, panni da lavare e stendere, letti da rifare: le veniva da piangere e per finire suo marito non la gratificava affatto. Anna si guardò in giro, sospirò, diede un'occhiata alle sue rovinate mani e decise di mollare tutto. Ma sì, poteva concedersi pure una pausa, avrebbe poi pensato a rimettere in ordine. Si preparò e fece una capatina al salone di bellezza: lì sicuramente avrebbero provveduto a riparare i guai combinati dalla sua squallida vita di casalinga anonima. Alcune ore dopo finalmente Anna uscì e quale fu la sua grande meraviglia? Incontrare una sua vecchia conoscenza e non essere riconosciuta. - Claudia, carissima, quanto tempo è passato dall'ultima volta che ci siamo viste! - Mi scusi, signora, non credo proprio di conoscerla! Anna cercò di ripescare quei momenti indimenticabili trascorsi con la sua amichetta del cuore... - Ma Claudia, non ti ricordi più di me? Risentendo quella dolce voce, Claudia ripensò in un attimo alle spensierate giornate passate con lei... - Anna carissima! - e pronunciando queste parole, l'abbracciò così forte da toglierle quasi il respiro . - Anna! Quanto tempo è passato! Entriamo in quel bar a prenderci qualcosa di fresco. Il caldo di agosto si faceva sentire. La città era semideserta: erano tutti al mare, infatti, il grande esodo estivo era in piena attività. Entrarono nel bar e consumarono un bel gelato come solo Giuseppe sapeva preparare. Giuseppe era un pasticcere siciliano emigrato tanti anni prima a Milano e lì aveva fatto la sua fortuna. Il bar del corso Sempione era frequentato da personaggi televisivi: vi si incontravano i volti più noti della tv. Il gelato alla nocciola, come solo lui sapeva preparare, era divino! Ad ogni assaggio il palato ne traeva goduria... Quel momento magico fu interrotto dall'ingresso nel locale di una donna molto raffinata, sicuramente una donna in carriera. - Giuseppe, preparami il mio solito cocktail, solito miscuglio, mi raccomando! Anna e Claudia si girarono al suono di quella voce. - Ma, Claudia, non pensi possa essere Daniela? Al sentir pronunciare il suo nome da ragazza sconosciuta, Daniela si voltò. - Ragazzeeeeeeeeeeeee! - gridò, esultando.. Si abbracciarono, non ricordando più il tempo trascorso che le aveva costrette a seguire ciascuna la propria strada. Si raccontarono le loro peripezie esistenziali e tutte e tre si resero conto che c'era nel loro animo una profonda insoddisfazione... Ah, la vita, era stata veramente ma veramente ingrata con loro! Scoppiarono a ridere e riabbracciandosi decisero, nonostante Anna fosse pronta per un'occasione decisamente ben diversa, di andare tutte al mare! Avrebbero preso una cabina e poi di corsa a buttarsi tra le onde chiare. Ma Anna continuava a pensare al suo lui che, nonostante non la gratificasse, continuava a volergli bene... Forse la colpa era stata del jukebox, posizionato nell'angolo buio del locale di Giuseppe, a ricordarle gli anni del corteggiamento che indubbiamente erano rimasti quelli più belli della loro storia...
©Rosemary3
Mi ricordo…del ricordo

Un ricordo al mare
Ero l’onda lunga
Ad accarezzare
Come una fionda

A dismisura tesa
A ghermir la preda
Sulla sabbia stesa
Meraviglia ignuda

Che bella sorpresa
Al sole a rosolare
Di brillìo accesa
Al sapore di mare

Di voluttà intrisa
Di profumo di zagare
D’incenso di chiesa
Tutta da amare

Un lampo estivo
D’anelito fugace
Il ricordo io vivo
Con senso di pace

©Edo e le Storie Appese

 

Yesterday

In un tempo immutato
ti accoglieva
nelle sue pietre d'argento
il Royal
risonante d'antichi sfarzi
leggero di caldi silenzi

millenovecentosessantanove
Viareggio era fragile
nelle sue strade accaldate
nelle sue bandiere dipinte di rosso
dolce di spettri, di gialli virgulti

e la notte cigolava in sordina
in night club acri di luna
di maree e di numeri primi

avevi occhi come spiragli d'autunno
griffati di un ultimo ballo
quello delle fiabe
il più bello

camminavi di banchina in banchina
in quell'istantanea di giorni lontani
il cuore in un percorso sospeso

brulla d'amore
in quell'ora che ascolta
scheggiata di sole

Yesterday che si confondeva nel vento di piume.

©neraorchidea

 

Neda

Avevo un sogno gentile e delizioso che chiamavo vita, era una piccola luce tremula e sicura, dolcemente velata, misteriosa e avvincente come tutti i sogni. L'avevo creata e fatta a poco a poco sempre più bella, per non essere troppo sola in un mondo che non capivo e che non poteva capirmi, vivevo per quella e di quella luce. Mi sentivo estranea nel mondo, dove chissà qual fato capriccioso aveva voluto portarmi togliendomi al mio e ,piano, piano, aiutata dalla piccola luce amica, ritrovai la via del mio mondo. Bussai trepida a quella porta mai veduta, ma già nota e cara. Si schiuse e in uno splendore d'azzurro puro vidi mille e mille rose rosse che chinavano innanzi a me la loro testolina orgogliosa. Una calda e cara voce mi dette il benvenuto chiamandomi regina. Da allora, appena avevo una possibilità, fuggivo da quel mondo che non potevo del tutto abbandonare, e tornavo laggiù dove ero amata e regina, dove la dolcezza di un profumo mio carezzava la mia anima inquieta. Ma un giorno la piccola fragile luce di un sogno bello tremò, il desiderio di quel mondo si spense come la piccola illusione gentile. Restò solo una dolce, tenue malinconia che ogni tanto si faceva più viva, malinconia di quel regno delizioso, di quella dolcezza fidente, di quel tepore profumato. Una fiamma dura e bellissima aveva reso freddo il tiepido raggio della piccola luce. Il sogno fu annullato da una realtà dolcissima che chiamai amore. Rinnegai quel mondo nella speranza di un mondo più ardentemente bello, dove insieme alle rose rosse il mio ragazzo mi volesse bene. Era tutto bruno l'amor mio e la sua voce sensuale la sentii sincera. Il suo volto aveva il colore dell'ambra e la sua vita era mia come lui, completamente. Non un istante dubitai di questo, tutto mi sembrava facile e naturale, tanto ero abituata ad essere regina. La calda luce di un sole bruno mi avvolse tutta e, nel calore di quel cuore che ricordava al mio cuore un ardente profumo mai dimenticato, vivevo la mia parte di gioia vera. Lo chiamavo "sole", ma più bello del sole era l'amore mio bruno. Quanto durò la mia gioia? Forse un istante, forse anche meno. La rugiada pura di molte lacrime spense la fiamma del fulgido sole. Mi ritrovai più sola e più estranea di prima nel mondo di tutti. Tornai laggiù, ma tutto era freddo e la freschezza profumata di quelle rose sempre mie non era più tale: erano appassiti quei petali che pure erano stati freschi e profumati nelle mani di lui, dell'amor mio. - Che fai, amore? A che pensi, amore? Non ricordi che io vivo, che ti amo? Disperata attesi invano il suo ritorno, disperata lo cercai per lunghe ore sempre invano. Non volle tornare o forse non seppi riconoscerlo. Che facevo? Speravo? Piangevo? Non vi sono lacrime. Negli occhi c'è forse l'ombra di un sorriso irridente, anche la bocca sa sorridere ancora. Il pianto, questo pianto è così doloroso che è capace di nascondersi sotto un sorriso, non nasce lì, ma sta nel cuore, non sopito dalla dolcezza delle lacrime. Ero regina. Che cosa sono? - Attendi. Egli mi disse. - Tornerò. Non sapeva però che senza sole io non potevo, non posso vivere. Lui non sa che cosa mi ha rubato senza nulla donarmi. E soffro nella solitudine dura di chi non ha nessuno, di chi è solo fra molti e quel dolore è un urlo tremendo, viene dalla giovinezza che, ferita, non vuol morire e cerca un motivo per vivere, un motivo che non può avere che un nome. Non riesco a rimproverare lui che sempre amo del male che mi ha fatto, lo ringrazio invece del sole che mi ha dato, anche se questo non può impedirmi di chiedere ancora un po' di sole. Se quella fiamma ti avesse bruciato, come mi ha bruciata, non potresti restarmi lontano. E una speranza folle fa sì che il cuore cerchi ancora un'illusione per vivere e chieda ancora gioia a quel sole bruno che seppe togliere un regno e il tepore dolce di una piccola luce.
©mailameini

 

…il revival della vita

riprendere un concetto, una ragione d’essere, si affaccia all’esistenza
di noi un tempo, la mente fa la storia
l’ etrusco significato che rinasce e vive,
e gli stereotipi elogiano gli ignoti, e dai trascorsi restano i passati
e su di una spiaggia vuota vanno a passeggiare,
e tu…tu mi dicevi:lasciali perdere,sono solo che ricordi,
ricordi in musica che fan vibrare l’anima…
…e allora! fai andare quel vecchio giradischi
torna nei detrattori, negli anni nostri folli,
a quei baci rubati, che nel buio ballavamo il lento
sempre più stretti e la carne poi bolliva…
…e fu l’inizio dell’epica stagione, il mito oggi si ritrova
dove la poesia veniva recitata,adesso viene letta , in lettura silenziosa,
erano gli anni sessanta, di me, io fanciullo
dei primi amori e palpiti di cuore,
e non c’era ancora il cellulare, l’anima, messaggiava solo amore…
…è tanta la differenza da allora :
cani al guinzaglio portano a spasso i padroni,
prendono l’occasione per dire una parola,
ed è tanta l’indifferenza ,il cannibale aspetta la sua preda
la dissangua con frecce avvelenate, la purga, con l’ acido la fonde,
resta l’apparenza, una frequenza che elude la forma genuina
prevale l’arroganza, e tanti si chiedono: quali sono i poeti, ma quali?
mi metto nella mischia e faccio penitenza…
…la vita è un pacco che gira per il mondo
una scatola da aprire e esce la sorpresa,
sei tu il tesoro, donna e mi consoli,ti fai valere e fai la preziosa
poi con i fiori in mano vai in quella chiesa
preghi l’ave o Maria i sette peccati capitali …
…e ancora:
ti tiri la calzetta, e come una gatta morta strisci intorno al palo
danzi l’eleganza mostrando il piacere,
ora porti calze a rete è sei sensuale
ti depili anche gli occhi. lì, il maschio fa furore…
…ma poi resta la canzone ,la nostra! che bella!ancora è nel mio sangue:
(… se piangi ,se ridi ,io piango con te, perché, tu fai parte di me…)
e poi: ( …da una lacrima sul viso
ho capito molte cose,
dopo tanti, tanti mesi ora so
cosa sono per te…)
…e ancora: ( …un cuore matto che ti segue ancora
e giorno e notte pensa solo a te,
e non riesce a fargli mai capire
che tu vuoi bene a un altro e non a me…)
…il revival della vita va avanti, da respiro ai trascorsi
ai futuri che sono già presenti,
a noi ragazzi di quei tempi, figli dei fiori, dell’amore libero
di un Dio minore,
una canzone, una poesia, si sente sempre nelle vie del cielo...
©poetanarratore

 

Rimini anni 60

S fizioso profumo d'estate... che fu!

S ibilava il vento senza confine
S 'alzava la sabbia fra l'ombreggio
S palmandola delicata e fine
S ull'ambrate pelli a tatuaggio

S'intrecciavano destini là nel turbine
S torie dell'estati all'arrembaggio
S piritose le nostre trame birichine
S trumenti d'anelito e di coraggio

S trizzavamo l'occhio a signorine
S foggiando fantasie come foraggio
S farfallando sul miele d'una vergine
S ussurandole amore come omaggio

S farzoso il tempo ch'ora è ruggine
S foglio i ricordi di quel vagabondaggio
S ulle note di quell'eterna canzone
S apore di Sale... dove ora veleggio

S 'ospirando lieve mi viene il magone
S entendo i profumi di questo mio viaggio
S volazzando nel tempo dell'illusione
S enza il venir meno nell'essere saggio

©Edo e le storie appese

 

Lo sguardo

Come una barca procedi sulla sabbia,
ancheggi e segni i tuoi passi, avrai
37 di scarpe e un 92 di torace.
Poi ti fermi, e ti tolgo da dosso lo sguardo.
Fosse una festa potremmo fare qualcosa
assieme.
©ormedelcaos

 

Ti incontrai negli anni 60

Avevo perso un fermaglio, tra le siepi del giardino. Lo misi sulla testa per andare in chiesa. Nel percorrere quel viottolo per tornare a casa mi accorsi di non averlo più. Tornai su i miei passi tra le messi della primavera. Le valli di luce che i passeri alzavano con il cinguettio, ossidava in un silenzio non definito, imprigionando un cielo nitido che solleva con la coda pezzi di specchi di nuvole. La brezza mattutina stesa sul filo cantava nuda i profumi fuggiti dai roseti. Un calabrone tremava su una mela quasi inaridita quando udii: “ Cercavi questo”. Tremai di paura come un mollusco senza conchiglia, mi girai nel modo in cui si scatta una foto crescendo freddi pensieri. Una figura avanzava bagnando la mia pelle, sbudellando il mio ventre come tanti polpi agonizzanti, lancinante giungeva fino alla gola. Il suo sguardo è stato mio, non cercai difesa e accennai un si con il capo. Restai immobile senza parlare a sognare rotte senza porti a spiare nel silenzio l’odore del suo corpo che bruciava ogni mio gemito. Senza capire spargevo impalcature su progetti nel mondo solo nel cielo. Allungò la mano, l’aprì, il mio fermaglio, gridai tacitamente, lo guardai, ingoiavo i miei pensieri come una piccola rondine che non sapeva parlare. Come un bambino scatenato sotto i rami, colmi di sete, allungai la mano per raccoglierlo, il contatto parve un guizzo letale ma nulla accadde. Mi salutò e se ne andò. Mi sentii come un vestito abbandonato, tracciavo palpiti ed ingoiavo l’illusione divorata da bruchi e formiche rosse. I miei piedi intirizziti solcarono spine. Quella sera, sdraiata sul mio letto, sentii ululare i lupi e suonare chitarre senza corde. Non volevo piangere ed ingoiai la lingua del mio orgoglio. Il sonno muggiva e la mattina quando mi svegliai non giunse la brina nei miei occhi, cercai di capire la verità e delle cose equivocate. Dissolsi i miei pensieri e accarezzai le primule senza vacillare sulla mia finestra. Percorsi quella via stringendo i polpastrelli cercando nell’erba la mia agonia. Trovai sotto un giglio ancora addormentato un disco con una dedica: “Al mio fermaglio ” firmato Nando. Il cuore era un tamburo chiamava la natura, rispondeva il bosco vibrando arpe. L’aprii, lessi il titolo del disco: “Pensiamoci ogni sera “di Dalidà. Bigiai la scuola e corsi a casa, mi chiusi nella mia cameretta aprii il giradischi lo inserii. Una voce soave di donna cominciò a cantare: “ Pensiamoci ogni sera il tramontar del sole, sarà l’appuntamento che uniti ci terrà”…. Avevo 15 anni e lui 19.
©iry50

 

Lenti e stretti siderei amori

Si alza il suono di un Sax tenore
clamori di un tempo
erano i giorni
che il sole aveva
lasciato il cielo ad altro aspetto
dolori solitudini espanse
radici divelte dal vomere
ferreo destato dal grido sul palco
quando frenetiche genti cantavano i testi del diavolo
frettolosamente inciampati
tra i sacchi a pelo dorati d’incenso
praticanti del bivacco
assedianti dei giardini e dei campi a falò
sabati sera come lunedì mattina, niente li fermava,
assalti frontali architettati anzitempo
gioiosi canti amabili spezie praticanti, criticanti,
ed i colori aperti al cuore, i fiori, inondavano la strada e sorrisi e accese amicizie
e amori e sesso e baci e carezze estasi, collettive sublimate follie.
Il filobus accompagnava tutti al lavoro, poi, per le strade a cantare suonare giocare
sempre con il piacere di farlo ed i muretti sedimenti di natiche sguarnite di addobbi
e le cantine ovattate e sfitte, rifiorite di poster guarnite, saporite di tabacchi e torte
di sfolla genti si armava il destro, si cercava la lotta tra fratelli, onore e gloria al padre eterno
botte, fraseggi, circostanze ribelli, scontri vittorie e tracolli e poi a bere battuti ma più desti, percorsi aperti alle vergogne del ciclo umano, sudori in ammollo nell’estate che batteva la cassa e duri e puri fuori a cercar fortuna siffatta. Brontosauri c’erano dappertutto e la pula picchiava duro, sulle palle di gomma rese alla folla, derisi i diritti proprio come ora, follia, di stato atomico, si parlava, si faceva, si pensava, si osava trattenere il respiro al fiuto dei guai, si dava il castigo a chi si dava fuori, tutti per uno, uno, non in condotta era scandalo, non al sole si cuocevano le frittelle, delle belle, come ora, ma si temporeggiava per farlo ed il sole era più caldo si era così .. lo dicono tutti! Nel 60’,o giù di li. Ciao ciao, bella Ninì.
©matris

 

 
 
-Associazione Salotto Culturale Rosso Venexiano
-Direttore di Frammenti: Manuela Verbasi
-Redazione
-Selezione testi a cura di: Raffaella Ruju
-Autori di Rosso Venexiano
-Editing: Antonella Taravella, Emy Coratti,Manuela Verbasi, Rita Foldi
-Immagine grafica di Anna de Vivo
 

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