ebbi la certezza che non avremmo mai più trascorso assieme altre feste, mamma. C’è stato un momento, uno che ancora mi commuove dopo tanti anni, e fu l’attimo in cui ci guardammo per un istante dritte negli occhi e tu scoppiasti a piangere. Per tutta la sera avevo evitato accuratamente quello sguardo, impegnandomi nella cena, nel portare in tavola i piatti. In cucina tiravo fiato, un paio di volte appoggiandomi al muro per non cadere nel vuoto angoscioso in cui stavamo sprofondando, respiravo l’amaro dell’impotenza, la mia e di noi tutti che ti stavamo perdendo velocemente. Che fatica, mamma, apporre al mio volto poco più che ventenne, quel sorriso teso al pianto, non so come facevo, perché in sala da pranzo non riuscivo proprio a respirare e mi laceravo nel vederti così cambiata, così sofferente. Due mesi e qualche giorno, quarantott'anni sono davvero pochi, sono il tempo di un volo, e non ci saresti più stata. Due mesi e non potei più chiamarti, mamma nemmeno sentire la tua voce, la tua risata.
Che schifo quel Natale, mamma, poi tutti gli altri a venire non furono che tentativi di fare famiglia con mio padre e le mie sorelle; le loro famiglie mutavano e quasi ogni anno c’era una persona nuova seduta al posto tuo, un carillon pensavo, la ballerina gira e cambia volto. L’instabilità data dal non conoscerci mai tutti, il tentativo [scarso] di fermare istanti piacevoli nella memoria. I regali da scartare, le luci dell’albero che riflette ombre e fantasmi sul muro, il presepe, il caminetto, la mia bella casa, molti abbracci e sorrisi, gli auguri. Così ad ogni nuovo Natale. Tu però non c’eri.
Manuela
grazie Giulia
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