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Le disavventure della Bora - ladybea48

 
Corrente Azzurra e Dolce Brezza si erano trasferiti da tanto tempo in Ungheria perché qui da noi non avevano trovato un impiego adatto a loro.
In Ungheria vivevano tranquillamente e svolgevano un lavoro che per loro non era affatto pesante e noioso o per lo più lo facevano quando ne avevano voglia. Così in dati periodi dell’anno uscivano di casa si muovevano per tutto il paese soffiando un po’ di qua e un po’ di la, dove capitava, ma lo facevano così gentilmente per non infastidire la gente che vi abitava, anzi per dire tutta la verità la gente era contenta di sentirli muovere perché con il loro leggero soffio mitigavano l’afa in estate, asciugavano più in fretta la biancheria stesa sui fili e per finire spazzavano tutte le foglie secche cadute dagli alberi e l’immondizia, soprattutto l’immondizia che dei grandi maleducati lasciavano disseminata in giro, così tutti i cortili, le strade, i paesi e le città erano sempre in ordine e pulite per la gioia dei loro abitanti.
I due, sposati ormai da lungo tempo, fino a quel momento non avevano avuto dei figli e non ci speravano proprio più di averne, anche perché avevano un’età un po’avanzata e cominciavano a sentirsi tanto, tanto stanchi.
Il Destino, loro vecchio amico, da grandissimo burlone qual era, decise che per i suoi amici era giunto il momento di avere qualcuno d’accudire. Immaginatevi la meraviglia dei due quando si ritrovarono tra le braccia una neonata rosa e paffutella che strillava a più non posso. Che grande gioia fu quel giorno, l’amarono subito appena la strinsero, ma dal primo vagito che udirono capirono che la piccola aveva un bel caratterino e più il tempo passava e la piccola cresceva, loro si accorgevano che diventava sempre più capricciosa, viziata e disobbediente. Non c’era modo di farle capire che non poteva andarsene in giro da sola per il paese a soffiare in tutti gli angoli a suo piacimento facendo impazzire la gente che a causa sua non poteva più lavorare nei prati o stendere la biancheria ad asciugare, perché lei la facesse volare via, e le povere massaie non la trovavano più. La gente di quel paese stufa di tutti quei disastri inveiva malamente contro i genitori della Bora, questi, ogni giorno che passava si sentivano sempre più avviliti e vergognosi del comportamento della loro pestifera figliola. Cominciarono così a darsi la colpa l’un l’altro per averle sempre lasciato fare tutto ciò che le passava per la testa, e, all’ennesima marachella non ce la fecero più, quindi decisero di comune accordo di spedirla dai nonni SoffioRosa e AlitoBlu, dove sicuramente avrebbe imparato un po’ di educazione. I nonni, anche se erano molto, ma molto vecchi, sapevano farsi ubbidire con un solo cenno della mano, da tutti i nipoti che avevano sempre intorno, figli dei fratelli del papà della Bora. Quando gli zii della Bora dovevano allontanarsi da casa per giorni e giorni, lasciavano i loro bambini dai nonni, sapevano che lì sarebbero stati bene e si sarebbero anche divertiti.
I nonni SoffioRosa e AlitoBlu vivevano da immemorabili secoli in una casa bellissima dipinta con tutti i colori dell’arcobaleno che brillavano con il sole e rilucevano con la luna, la casa era poggiata su di una immensa nuvola che stanziava sempre sul cocuzzolo della montagna più alta del mondo dove, si vociferava che una volta c’era il Paradiso, ma che ora si trovava nelle più alte sfere del cielo, dove il buon Dio, aveva deciso di trasferirlo perché seccato che cani e porci bussassero alla sua porta con la pretesa di voler entrare senza averne alcun merito, disturbando ad ogni ora il suo meritato riposo e la privacy e, siccome i nonni della Bora erano sempre stati gentili ed educati con Lui, Dio regalò loro quella bellissima dimora nominandoli custodi della porta del Paradiso. Così quando, qualcuno osava solo avvicinarsi all’uscio, con un forte soffio e senza tanti complimenti lo ributtavano giù sulla terra.
Quando la piccola Bora arrivò, mise subito il broncio e pestò i piedi facendo tremare la grande nuvola, subito palline di ghiaccio si staccarono da questa precipitando sulla terra, rovinando i tetti delle case, rompendo i vetri, ferendo le persone che passavano lì sotto. Il nonno, non disse niente, la guardò soltanto e prendendola per un orecchio la trascinò in camera sua e lì rimase per un po’. Il giorno dopo, avuto il permesso dal patriarca di uscire, non se lo fece ripetere e senza alcun indugio cominciò ad aggirarsi come un anima in pena per il giardino, qui trovò gli angioletti che in silenzio e diligentemente lavoravano. Chi spazzava le foglie, chi bagnava le piante, chi invece raccoglieva fiori per portarli a tutti i Santi del Paradiso. Con un ghigno dispettoso sulla boccuccia li guardava lavorare, poi tutt’un tratto si mise a correre all’impazzata tra le creature celesti facendoli cadere a gambe all’aria e, potete immaginare che pandemonio successe. Fiori, foglie, annaffiatoi con l’acqua e persino parecchie piume delle ali dei poveri angioletti si sparpagliarono tutto intorno.
Gli angioletti, piangendo salirono su per la scala d’oro che porta all’uscio del Paradiso, ma non ebbero nemmeno il tempo di entrare che da lassù una voce possente tuonò, spaventando talmente la Bora che tremando si chiuse in camera sua per giorni e giorni.
Passò del tempo e la Bora ne combinava sempre una nuova, anche i nonni non sapevano più cosa fare, gli angioletti non si fecero più vedere. Arrivò il periodo che gli zii della ragazzina dovevano assentarsi da casa per il lavoro, così un po’ alla volta arrivarono i suoi cuginetti, Zefiro, Maestrale, Tramontana, Libeccio. Quei quattro erano dei venticelli molto educati e rispettosi, sempre allegri, giocavano tutti insieme senza farsi male, ma tenevano in disparte Bora perché a loro non piaceva tanto. Offesa per quel atteggiamento nei suoi confronti meditava vendetta alla prima occasione. E ciò accade quando il nonno portò nel giardino la grande giostra Rosa dei Venti, bella e molto colorata, era fatta di diamanti, ed i suoi bagliori si spandevano per tutto il cielo creando mille stelle filanti. Salirono tutti meno che la Bora, arrabbiata protestò: «Voglio salire anch’io.» disse «No, tu no.» risposero gli altri. «Perché no?» «Ma perché sei troppo dispettosa.» Ah, è così, pensò, bene adesso vi faccio vedere io quanto sono dispettosa. Soffiò e soffiò a più non posso sulla giostra che si mise a vorticare ma così forte, così forte che diventò invisibile e i cuginetti furono scaraventati ai quattro angoli del mondo. Ai nonni ci vollero giorni e notti per ritrovarli e quando ritornarono a casa erano talmente arrabbiati che Bora per paura delle conseguenze decise di fuggire e non tornare più.
Così quella notte alla chetichella, preso il suo fagottino in spalla, la ragazzina scappò buttandosi giù dalla nuvola al volo. Improvvisamente si ritrovò in un luogo sconosciuto e molto buio, da non vedere dove metteva i piedi. A ogni passo che faceva riceveva un colpo, era già tutta un livido e sanguinante, quando finalmente uscì da quel posto ritrovandosi in una landa desolata senza confini ed orizzonti, non c’era neanche un’indicazione sulla direzione da prendere. Cosa doveva fare, decise di andare sempre dritta. E cammina, cammina arrivò in Cina, stanchissima, assetata ed affamata, però là giù in fondo scorse una luce tremolante, aveva voglia di correre per raggiungerla ma ero tanto stanca che ci mise una settimana ad arrivare davanti al portone di un palazzo enorme e silenzioso, questo, si aprì dopo che lei aveva bussato tanto. Entrò speranzosa ma non c’era nessuno a riceverla. Girò per tutti i corridoi, tante erano le porte che incontrava ma tutte chiuse. Finalmente in fondo all’ultimo corridoio intravide la luce che l’aveva attirata lì.
Varcò la pesante porta ed entrò in una stanza immensa dal soffitto alto, alto, illuminata solo dal fuoco che scoppiettava in un enorme camino e lì seduta a terra, stava una strana creatura raggomitolata su sé stessa che piangeva e piangeva, e tutte le lacrime che versava inondavano il pavimento di marmo lucidissimo, così che i piedini della ragazza erano già tutti bagnati.
Spazientita la Bora si avvicinò alla figura e scuotendola le chiese: «Uffa che lagna, vorrei tanto saper cosa hai da piangere tu che vivi in un palazzo così bello!»
La creatura alzando la testa la guardò con occhi rossi come il fuoco che bruciava nel camino.
«E tu chi sei che ti sei introdotta in casa mia, chi ti ha fatto entrare?» Le domandò con voce profonda e cavernosa lo strano essere, ed a ogni parola una sbuffata di fumo gli usciva dalla bocca.
«Ma non so, non ho visto nessuno, ho bussato e la porta si è aperta. Ma tu chi sei?»
«Io sono il drago signore della Cina, e tu invece chi saresti?»
«Io sono Bora scappata di casa! Perché piangi?»
«Ah ho sentito parlare di te, lo sai che i tuoi genitori e tutti i tuoi parenti ti stanno cercando portando scompiglio in ogni luogo che vanno e nessun paese è più tranquillo quando passano loro.» «Non ci credo, non è vero, nessuno mi vuole per questo sono scappata via. Ma ancora non mi hai detto perché piangi.»
«Bene, se nessuno ti vuole ti voglio io, visto che sei qui mi aiuterai. Devi saper che tempo fa un mago cattivo, cattivo, ha fatto un incantesimo su di me, io ero un principe bellissimo e tutti mi volevano bene e mi riempivano di doni, tutte le principesse del circondario desideravano diventare le mie spose ed io finalmente dopo tanto cercare avevo trovato quella che volevo sposare e stavo quasi per farlo se non che, anche la figlia di questo mago voleva essere la mia regina ma siccome era così brutta da far spavento le mie guardie non la hanno lasciata passare e la hanno cacciata questo fatto ha scatenato l’ira del mago suo padre che mi ha trasformato in un drago che non sa volare e non può sputare fuoco, inoltre si è impadronito del mio regno rinchiudendomi in questo palazzo ed ha imprigionato la mia fidanzata in un pozzo profondo. Ritornerò ad essere il principe di prima solo se qualcuno mi insegnerà a volare e quando lo farò potrò riprendermi il mio regno e la mia amata. Se mi aiuti ti farò dono di molte ricchezze.»
«Va bene, ti aiuterò se tu mi lasci vivere nel tuo paese e mi lasci soffiare qua e là a mio piacimento.» «Perché no, si può fare, sempre che i Monsoni siano d’accordo sai sono loro i padroni di questo cielo.» «E dove li posso incontrare per chederglielo?» «Oh non preoccuparti prima o poi li incontrerai.»
Per molto tempo la Bora insegnò al drago_principe come librarsi nel cielo portandoselo sulla schiena, o come soffiar le fiamme dalla bocca e, quando finalmente i suoi insegnamenti andarono a buon fine e il drago riconquistò il suo regno e liberato la sua sposa diventando nuovamente il bel principe che era prima, la Bora si sentì libera di scorrazzare in lungo ed in largo per tutta la Cina provocando i suoi soliti danni. Ma il suo divertimento durò poco perché i Monsoni, padroni di quella parte del mondo non furono d’accordo ed ingaggiarono una feroce battaglia con la ragazza che, malridotta fu costretta a scappare da lì. Dopo tanto peregrinare si ritrovò in un paese dove il sole era cocente e la terra una lunga distesa di sabbia dorata e fine, lì se ti guardavi in giro non vedevi altro, non un filo d’erba, non un albero ma solo sabbia e ancora sabbia.
“Oh, finalmente ho trovato il posto che fa per me.” Pensò, e contenta si mise a soffiare in ogni dove credendo di essere l’unica signora del luogo. Ma si sbagliava. Per giorni e giorni qualcuno la osserva, guardava con compiacimento le sue evoluzioni, le sue acrobazie e più la guardava più le piaceva così decise di farsi avanti, di conoscerla.
«Ciao bella signorina!» «Oh mi hai fatto paura, credevo di essere sola.» «Evidentemente no, ci sono anch’io.» «E tu chi sei di grazia?» «Io sono lo sceicco Ghibli signore del deserto, sono giorni che ti osservo e devo dire che mi piace come ti muovi perciò voglio che diventi mia moglie, insieme creeremo tempeste di sabbia magnifiche, tormente e tornado e vivremmo felici.»
«Ma non ci penso proprio, sto bene così.» Si arrabbiò Bora cercando di fuggire da lui, ma lo sceicco Ghibli l’avvolse nel suo vortice gridando: «Allora se non vuoi essere mia moglie ti faccio prigioniera fino a che non mi dirai di si.»
E così fu, per anni, anni rimase rinchiusa in un luogo che nessuno conosce nemmeno io ma non cedette mai alle sue lusinghe anche se si sentiva sola e rimpiangeva di essere scappata da casa sua e di tutte le marachelle che aveva fatto. In cuor suo si diceva: “Se riuscirò a fuggire da questa prigione ritornerà a casa dai miei, chiederò scusa a tutti e mi comporterò per sempre bene.”
Poi un giorno, non si sa come o forse per una dimenticanza dello sceicco o forse solo per fortuna la porta della sua prigione rimase aperta e lei finalmente fu libera di andarsene, di tornare a casa anche se debole ed affaticata dai lunghi anni di carcere ma felice di incontrare i suoi cari che di sicuro erano disperati per la sua assenza.
Ora, non ha finito di combinare disastri, questo no, soffia di tanto in tanto sulla città di Trieste e gli abitanti di questa città non sempre sono contenti delle sue malefatte ma sono ormai così abituati alle sue follate che se un giorno non si presentasse più di sicuro si dispererebbero.
 

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a cura di Ezio Falcomer

♦Compagnia di teatro sul web Accademia dei Sensi♦

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