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La leggenda del frate che aveva braccia, mani e cuore, da regalare. (Ovvero una storiella per la bimba) © fabiomartini

Lodate il signore con umiltà,
diceva il frate lungo la via che portava
verso il margine destro del fiume,
chiedeva noci e lasciava una mano
sul capo del generoso che sorrideva.
 
Non ricordo se era alto o basso,
se camminava veloce oppure lentamente
quando calpestava il terreno
sotto i suoi piedi di sandali vestiti,
ma credeva in qualcosa che abbiamo perduto
negli anni del tempo
che tra noi e lui sono volati.
 
Un giorno incontrò un lupo
che spaventava gli abitanti di quel paese,
gli andò incontro e parlarono a lungo,
che il lupo restava seduto sulle sue zampe
e ascoltava cosa aveva da dirgli
e alla fine guardò per terra e si girò
e andò via e nessuno ne seppe più nulla
che chissà in quali terre andò
e in quali altre terre lasciò
le sue orme di lupo…
 
Un’altra volta parlò agli uccellini
e questi piano smisero
di cinguettare sopra quell’albero
e lui di sotto che parlava
del Signore del cielo e degli uccellini,
eppure loro in silenzio lo ascoltavano
e poi ricominciarono a cinguettare
più forte di prima e lui se ne andò via
che quello che doveva fare lo aveva fatto.
 
A volte mi domando quante volte
noi abbiamo provato a parlare
con il cattivo e con il buono, forse mai…
Elios, Anemos, Thanatos …
eppure nel castello dividevano la tassa
sul grano e sul sangue e ridevano
che nessuno li poteva sopportare più.
 
Lui lentamente calpestando il terreno
sotto i suoi piedi di sandali vestiti,
ma che credeva in qualcosa che noi
abbiamo perduto negli anni del tempo
che tra noi e lui sono volati via,
si avvicinò al grande ponte levatoio
bussò a quel grande portone
che più grande in tutta la contea
non ve n’era un altro mai
e loro aprirono quella porta
spostando dal basso verso l’alto
la trave che dall’interno
erano cardini contro il Signore
e rimasero fermi che non ridevano più,
che non c’era più nulla di cui ridere,
loro che avevano i vestiti
da cambiare tutti i giorni
e di cento colori colorati,
che belli erano sempre,
ma quella volta davanti a lui
erano come senza i loro bei vestiti.
 
Fece un cenno del viso
ed entrò lentamente nel grande cortile
ed inginocchiatosi disse le parole
che tutti noi conosciamo…
Padre nostro che stai nei cieli…
e allora tutti si inginocchiarono
e pregarono con lui,
che il giorno dopo nessuno chiese
più soldi di quelli che avrebbero fatto
vivere del minimo un contadino.
 
Un’altra volta chiese ai suoi fratelli
di esser lasciato solo sulla roccia
a strapiombo sul bosco,
si sedette davanti alla natura
e il diavolo gli chiese perché lui
facesse quello che stava li sulla roccia
a guardar la natura e che mai ci trovava…
Si girò che le mani si rigarono di sangue
e due fori si erano formati come
stigmate tra il davanti e il rovescio
e le mostrò al diavolo che scomparve d’incanto,
che ancora resta la sua zampa
disegnata sulla roccia
nonostante gli anni del tempo
che tra noi e lui sono volati,
che sono le notti ed i giorni che la vita
ci regala, di lune e soli che ogni giorno
camminano su di noi.
 
E Francesco passò così la sua vita,
tra le cattiverie del mondo
e i sandali che ancora oggi
li potremmo calzare,
ma che ognuno di noi,
mai neppure sa, dove li ha lasciati i suoi.
 
Si amore mio questa è una storia vera
e domani te ne racconterò un’altra,
quella di un altro uomo
che visse tanti anni prima
e che amava tanto gli uomini,
e li amava così tanto
che loro lo inchiodarono ad una croce
e poi dopo, impararono ad amarlo
come lui aveva amato loro…
 
però questa storia te la racconterò domani,
e adesso amore mio
chiudi i tuoi occhi belli e dormi
che adesso si è fatto tardi…
Buona notte tesoro
che il papà ti vuole bene…
 

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a cura di Ezio Falcomer

♦Compagnia di teatro sul web Accademia dei Sensi♦

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