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Concorso anonimo - "di chi sono questi anni? (ché io mica me li sento, li conto solo)"- I vincitori

concorso anonimo
   
vincitore 1° classificato con voti 190: n.9 - Compensazione
Intrecciava le fibre di lisca insieme ai suoi pensieri - quando e da quanto gli sguardi passavano oltre? - la corda prendeva forma dalla rabbia delle sue dita, si allungava nell'incrocio e nella torsione, come gli si torceva il ventre nello spasmo - quando e da quanto s'era plasmata l'Idea?- i rumori intorno non turbavano il suo silenzio, un turbinio dei sensi, uno scorrere lento dei ricordi, e le fibre che cambiavano il fulcro stracciando l'anima dalle sue mani - quando e da quanto si era mutato il tempo? - l'immagine di altri intrecci di fiori di campo, di vesti aperte tra i fusti di mais dai racemi gonfi e maturi, il cielo sopra, e poi sotto, e il desiderio che squarciava in estasi - quando e da quanto la fede era scomparsa dalle sue mani? - il velo e il sorriso, le promesse solenni, il per sempre che suonava congiunto all'eco dell'organo, e la vita a trottare colma di doveri e mancanze, il rito dei fiori quando occorreva, se occorreva, il bacio sul collo - quando e da quanto la sua pelle fioriva altrove? - metteva foga in quel costruire e ricostruire, per non perdere il tratto, e fu pronta, forgiata di sensi, natura matura, a scorrere come frusta sui palmi, ne tastò il vigore e la forza, poi scelse il posto, s'arrampicò a braccia tenendola arrotolata sui fianchi, sedette sul ramo, quello più grosso e sporgente, compose il nodo e preparò la collana, fissò l'altro capo - quando e da quanto era diventato invisibile? - e si rispose 'ora' lanciandosi al suolo...
 
vincitore 2° classificato con voti 178: n.16 - valdo.marco - Un'altra stagione
Potrei restare con gli occhi che mi hanno dato, potrei anche restare senza una voce che mi spieghi, potrei camminare su quel filo che mi hanno segnato a mano libera, potrei seguire anche il pregiudizio del fato, trovare una strada che mi porti a un dignitoso soggiorno, infilarmi nelle mie vecchie, comode scarpe, potrei, come l'improvviso si svolge, levata per aria, sciolta nel movimento, il primo fremito della giornata si allunga lento, è un fruscio lieve, il sapore della bocca asciutta.
Come il tempo che cambia, il primo giorno di una nuova stagione, uno, due, dieci, mille segni e non c'è niente di univoco, nel bene e nel male, durare e funzionare, scioglilingua del futuro, da portare a memoria, mobile, modulare, nulla è ancora mutato, nelle cucine, nei salotti, nulla neppure nel privato del mondo, solo certi impercettibil minuti, racimolati nella distrazione di chi confida la mia presenza, mi pago, mi regalo il resto del tempo, torno per quel che mi rimane in un lettino stretto, mi cerco, di nuovo per la prima volta, con la stessa famelica vergogna, lascio intatta una promessa fatta a mia madre e agli occhi di mio padre, naturalmente è tutto diverso, naturalmente è tutto unico, il peso che devo sopportare sul collo e sui talloni è altro, l'arco del tempo, la memoria unica di tutte le mie facce, tutte adesso, strofinate sulla sindone del lenzuolo bianco, un verso animale, imbrigliato dall'attributo che gli devo dare, che non trovo nelle parole, perso in fondo agli occhi; Da adesso mi troveranno un nuovo vezzo nei capelli, per qualche giorno ancora, dovro cercare la misura nel frattempo e le parole e il tono, per far credere che ancora una volta, niente è cambiato; Ma è il primo giorno di una nuova stagione e una ragazzina magra si solleva dal suo lettino, si fa la coda con i corti capelli e va incontro al resto degli anni, non ricorda quanti, non li sente, non li vede.
 
vincitore 3° classificato con voti 177: n.8 - Cosasonocosa
Rotola, il tempo
  come acqua su ripido letto
si frange sugli occhi passiti
sui capelli schiariti
sui solchi del passo sul viso
Seduta, lo sguardo volto al tramonto
le mani tormentate nel grembo
raccontava, posata
il suo tempo
più vividi, oggi, i ricordi lontani
i piedi a rincorrere giochi
l'ampiezza di gonne danzanti
i respiri ristretti in rifugi
lo sposo dagli occhi sognanti
e nascite, e morti
Fissò gli occhi sui miei
in liquoroso indugiare
- Lo sono stata, bambina.-
 
vincitore 4° classificato con voti 175: n.4 - O'Malament
Fui seminata ai primi di un febbraio. Piovve. Poi uscì un sole da primavera prematura; uscì improvviso da nuvolaglie nerastre.
Insieme al sole, cadde grandine e ancora grandine.
Il buon contadino di una volta aveva, prima della semina, proceduto ad arare il terreno effettuando il sovescio del luppolino e della colza, poi la pacciamatura superficiale del terreno con uno strato leggero di ottimo letame dei bovini della propria stalla, i quali si erano, durante la stagione invernale, pasciuti soltanto di fieno dei pascoli appartenenti allo stesso agricoltore.
Aveva anche equilibrato il terreno, spargendo i calcinacci polverizzati della casa demolita con l’occasione, tuttonell’aspettativa di un nuovo, abbondantissimo raccolto.
Era in grazia del suo Signore, rispettavada tempo la legge biodinamica dell’intera filiera, la lotta biologica ai patogeni qualidorifera, grillotalpa ecc, coltivando canapa in prossimità dei filari. Ringraziava con un segno di croce prima e dopo i pasti estremamente frugali. Tutta la famiglia aveva adottato la dieta vegana. La sera, prima d’addormirsi, pregava e costringeva la moglie, insiemea lui, a battersi il petto chiedendo perdono per i loro peccati. Similmente, facevano ogni mattina appena svegli, prima d’alzarsi dal letto e andare al duro lavoro dei campi.
Ero stata selezionata accuratamente durante l’estate precedente, picchettandomi, lasciandomi poi ad inverdire per quaranta giorni ad aria, sole e pioggia battente, chiusa poi sacchi per proteggermi dalla luce affinché, al venire del mio tempo, germogliassi e partorissi convenientemente. Infine, lasciata intera anziché tagliata in tre quattro fette. Inoltre, il buon contadino aveva verificato che non fossi sterile, cioè che fossero nati su di me almeno cinque sei sette otto nove germogli almeno, e che avessi cambiato pelle, da gialla -marroncina fossi divenuta quasi nera.
La grandine caduta per sette giorni di fila - tanta da aver imbiancato il terreno come il mese precedente ed il mese prima – non mi aveva ferita, ma mi interrò ulteriormente di buoni trentasei, trentasette, trentotto, quasi trentanove centimetri, sicché quell’anno non nacqui, né nacqui l’anno dopo e quello dopo ancora. Rischiai di degenerare, ma non degenerai in quanto la mia genitrice era forte e sana e così sua madre, e la bisnonna e la trisnonna di lei. Anche il buon agricoltore aveva avuto il padre, il nonno, il bisavolo ed il trisavolo sani e di buona costituzione, che avevano generato solanacee in gran numero, ma egli si intestardì, nonostante il parere contrario della moglie, la quale invece era una convinta assertrice della rotazione, e non arò più quel terreno. E il suo dio lo punì.
Non io certo, ma la stessa moglie poppando, ancora gli chiede, vedendolo in rovina, “di chi sono…questi anni? (Ché io mica me li sento, li conto soltanto.)
 
vincitore 5° classificato con voti 174: n.2 - voceperduta
Margherita contava le zaffate di carbone spugnoso, rilasciate dalla canna fumaria. Ogni tanto gettava un mattone nella mischia, per tarantolare il fuoco e ascoltare i sibili spezzati delle condense di cenere.
Verificò che l'ora di Greenwich segnasse esattamente le diciotto; a quell'ora sarebbe scattato il contrattacco agli aerei della Luftwaffe.
Erano quasi tre anni che il suo Martin, coniuge e responsabile -vedetta della Royal Air Force, mancava da Londra.
Lei era convinta che il marito, durante i suoi turni di guardia alle torrette del fronte, sapesse benissimo da quale parte inforcare il binocolo per ritagliarsi un piccolo sguardo al focolare di casa.
E adesso che la stessa Londra correva il rischio di essere accerchiata per i cieli, il comandante Mallory l'avrebbe sicuramente richiamato in città, assieme allo schieramento di guardiani scelti.
Margherita contò la zaffata numero novecentosedici. Poi decise per quella notte di soffocare la fiamma dei giorni trascorsi in attesa.
Deflagrò un ordigno non lontano dalla sua casa in Magnus Street.
Possibile che il suo Martin non l'avesse avvistato in tempo?
Si susseguirono altri, terribili schianti che spaccarono le mura delle case adiacenti. Ma Margherita non si muoveva dal sigillo cristallino alle finestre, accendendo di tanto in tanto il fuoco per potere dare a lui l'ennesimo segnale.
Zaffata novecentoventotto. Un caccia tedesco rilascia un fagotto di mine che ricadono sopra i tetti degli edifici di Magnus Street. L'esplosione scoperchia la maggior parte delle case.
Margherita esce fuori, porta anche lei un binocolo per controllare i cieli; cadono giù in picchiata dei mostri alati che non temono niente.
Non le dispiace sapere di potere guardare lei stessa ciò che probabilmente Martin ha sempre visto in questi anni; rientra docile e tranquilla in casa. Il tramonto porta con sé una coperta di temperature gelide. Girandola di fumo numero mille. Si sente la spia di un radar sibilare vicino alle finestre.
Questa volta l'ordigno non concede sconti. Fra le saette di polveri e mattoni sventrati, Margherita se ne sta rigida, gli occhi sempre proiettati sulla torretta di nuvole lontane.
 
vincitore 6° classificato con voti 172: n.24 - spanto31 - Ritorni
Ritorno agli ultimi frammenti per chiedere perdono, perdono dei tradimenti inutilmente arroccati fra le pieghe del polso, ormai stanco e indebolito. Forse ogni illusione taglia le fibre e nulla è come prima, incastonato nell’indifferenza, invecchiando pian piano, nel sottile sfilare del confine. Spesso è l’azzurro in cui credo ancora il candido frastuono dei ricordi, perché Signore non so più che fare tra le mura ingiallite e le foto sgualcite nei cassetti. Tutto è sopito nelle forme oblique, strana la voluttà dell’indicibile, o del sospetto che tutto si annulli nel mio respiro in cerca del tuo sguardo.
 
 
* da una riflessione scritta, di Simonetta Bumbi
Progettazione grafica e web editing: Anna De Vivo

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a cura di Ezio Falcomer

♦Compagnia di teatro sul web Accademia dei Sensi♦

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