Scritto da © Manuela Verbasi - Mer, 09/09/2009 - 14:29
©Eddy Braune
Dolor, sdegno, rabia e paura
i lota nel mio povero cuòr
ferì, martorià, sconsolà.
La mia bela casa, el mio trasparente mar,
la mia tera, el mio paese amà,
son costreta a bandonar
se dai titini me voio salvar.
No vederò mai più l’austero campanil
e la Basilica ornada de tesere
musive de oro e de argento
che Bisanzio qua ga volù
e l’Impero Roman ga dominà.
No sentirò cantar le tue
antighe vestigia e mai più sentirò
sonar le piere de Strada Granda
soto el legno dei mii socoli
o mai più riderò corendo sò per Riveta,
né più ofrirò el viso a la fresca
bavisela che dal mar riva,
no respirerò l’aria profumada de salmastro,
no pasegerò per la Riva
e me riparerò all’ombra de Hotel Riviera
perché mai, mai più qua tornerò.
Andar, scampar, questo sé el mio destin.
Gnente, proprio gnente con mi
poso portar, duto, duto
ne le mani dei titini devo lassar.
Ma el mio cuòr sanguinante de dolor,
qua resterà a pianser, a pregar a veliar
i amighi che no i sé riuscidi a scampar
e in fondo al posso, nero, scuro, profondo,
in quela imensa voragine creada
con un singioso dala tera,
in quela orenda foiba
la vita i ghe ga spesà.
Per sempre.
La nave la va, dal mio amado paese
la se lontana.
Dai mii oci no una lacrima casca,
perché già trope ne go versade,
solo l’ansia me tormenta,
cossa farò, dove andarò, dove viverò,
purtropo questo mi no so,
forsi un picio posto in stò
grande mondo troverò.
Adio, adio paese mio dolse,
Parenso mia e cara, belisima tera mia,
de ti perpetuerò el ricordo
vardando ogni giorno
nà botilieta che dentro la chiudi
solo un pugneto de tera rossa.
Adio mio amado ben
e che Dio te conservi cussì sempre.
Adio.
traduzione
Dolore, sdegno, rabbia e paura
albergano nel mio povero cuore
ferito, martoriato, sconsolato.
La mia bella casa,
il mio trasparente azzurro mare,
la mia terra, il mio amato paese,
sono costretta ad abbandonare
se dai titini mi voglio salvare
Non vedrò mai più l’austero campanile
e la Basilica ornata di tessere
musive d’oro e d’argento
che Bisanzio quivi costruì
e l’Impero Romano a lungo dominò.
Non sentirò cantar le tue
antiche vestigia e mai più udrò
suonar le pietre di Strada Granda
sotto il legno dei miei zoccoli,
o mai riderò correndo giù
per Rivetta, né più offrirò
il viso alla tua fresca brezza,
né respirerò l’aria profumata di salmastro
e neppure passeggerò per la Riva
ne mi riparerò all’ombra dell’Hotel Riviera perché mai, mai più qui tornar potrò.
Andare, fuggire, questo
è il mio triste destino.
Nulla, proprio nulla con me
posso portare, tutto, tutto
nelle mani immonde dei titini
ho dovuto lasciare.
Ma il mio cuore sanguinante
di dolore, qui rimarrà, a piangere, a pregare,
a vegliare gli amici che
non sono riusciti a fuggire
e in fondo al pozzo, a quel pozzo,
nero, buio, profondo, l’immensa voragine creata da un singulto convulso della terra,
in quella orrenda foiba
la loro vita è stata spezzata.
Per sempre.
La nave va, dal mio amato
paese si allontana.
Dai miei occhi non scende
più una lacrima, perché
già troppe ne ho versate,
solo l’ansia mi attanaglia,
cosa farò, dove andrò, dove vivrò,
purtroppo questo io non lo so,
forse un piccolo posto
in questo immenso mondo
io al fine troverò.
Addio, addio dolce paese,
Parenzo mia o cara,
splendida terra mia,
di te perpetuerò il ricordo
guardando ogni giorno una
bottiglietta che racchiude solo
un pugnetto di fine terra rossa.
Addio mio amato bene
e che Dio ti protegga sempre.
Addio.
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