Federica
Venanzi


Racconti

Il fantasma

Freddo. La lurida coperta nella quale sono avvolta - uno straccio maleodorante pieno di buchi e troppo corta- non mi copre nemmeno le ginocchia.
Freddo intenso... Sotto la pelle, sotto la carne... Fin nelle ossa. Tremo anche se non vorrei. I denti serrati. La lingua incollata al palato. Tutti i muscoli tesi. Gli occhi chiusi... Sulla notte, sull'orrore; in attesa di un'alba d'acciaio in quest'inferno, in questo baratro nero nel quale precipiterò... Nel quale precipiteremo tutti.

Mi ricordo che da bambina la cosa che mi piaceva di più era il bacio della buonanotte di mio padre. Già a letto, al caldo sotto le coperte nella mia stanza che profumava di mele e cannella, lo aspettavo con gli occhi chiusi. Fingevo di dormire, mentre trepidavo nell'attesa che lui arrivasse. E puntuale ogni sera infatti mio padre arrivava, annunciato da quell'odore di muschio e corteccia del tabacco della sua inseparabile pipa. Leggero si avvicinava il suo passo, poi si sedeva sul bordo del letto. E delicate le sue labbra mi sfioravano la fronte... Un'onda tiepida e azzurra allora riempiva la mia mente, avvolgeva i miei pensieri. Il mio respiro faceva incetta dell'odore di mio padre... E mi abbandonavo nel sonno, sicura che i sogni non avrebbero tardato ad arrivare.
Ma qui ora non è così. Qui è solo gelo e terrore. Qui è odore di sangue, piscio e paura... Qui non ci sono baci... Solo pianto e lamenti. Sempre più stanchi, sempre più lunghi... E il sonno si è consumato come le suole delle mie scarpe bucate; nessun sogno mi accompagnerà in questa notte che è un buco nero e assorbe avido come una spugna ogni speranza...
Si trascinano così le ore, si inginocchiano in questa mattina di vetro graffiato dal dolore.

Esco dalla mia tana di legno marcito, sono fantasma tra altri fantasmi di ossa e di stracci. Cammino sospinta dall'odore nel vento, nelle orecchie rimbombano le voci. Quelle voci... Impossibile non udirle... Impossibile non impazzire. Oggi toccherà a me, lo so. Oggi sarò io la voce che urla. La voce che scuote, la voce che paralizza le gambe, che secca la gola... La voce che pugnala nel petto, che spezza il respiro.
Oggi sarò io quell'odore nel vento... sarò fumo che soffoca i sogni, che spegne i pensieri... Sarò cenere che impasta la bocca, che cancella ogni passo.
Tremano le gambe mentre procedo sospinta da mani che non sono più mani, da braccia che non sono più braccia, rami secchi di alberi sradicati; siamo macchie grigie e stinte tra milioni di altre macchie che impregnano questa distesa di dolore che tutti gli orizzonti oscura.
Un canto di morte riecheggia nell’aria e riempie un silenzio fatto di uomini e donne privati di tutto: della dignità, del nome… sacchi di pelle e ossa, una lunga fila che ordinata procede dove non sa. E non importa verso che cosa… basta che tutto finisca.
E la fine sarà. Liberi finalmente di volare via.
Ma il mio sguardo s’allunga d’un tratto, a rincorrere l’eco di un pianto che giunge al mio orecchio.
Chi sei tu fotografi tutto qui dentro? …Perché ti stupisci?
Chi sei tu che versi lacrime appoggiato a quel muro? …Perché tieni basso lo sguardo?
Chi sei tu che ora stringi le mani su questo filo spinato? …Perché la vergogna ti affoga?
Chi sei tu che scuoti la testa e sospiri? …Perché le tue mani tremano?
Esco dal cammino tracciato da migliaia di numeri deambulanti nel fango e sposto i miei passi perché incontrino i tuoi.
Eccoti qui, di fronte a me… I miei occhi nei tuoi occhi, le bocche serrate a far parlare un silenzio colmo di errori e di orrori che non si possono raccontare… Perché non esiste parola che possa rendere ciò che è stato. Ciò che ancora è e che forse sarà.
Sollevi la mano, pelle liscia che profuma di lavanda, cerchi la mia. Le tue dita intrecciate alle mie, rami secchi e grigi che tremano al vento. Ed ecco che sgorgano quelle immagini che nessuno avrebbe voluto vedere. Una cascata di pietre e di ghiaccio. Ecco che esplodono quelle voci che nessuno avrebbe voluto ascoltare. Un’eruzione di dolore, scorre inarrestabile a coprire ogni parola…

…Devo andare. Mi stanno aspettando.

Ti regalo tutto quello che ho, perché tutti possano sapere. Perché tutti possano ricordare… Perché nessuno possa dimenticare. Un baule pieno di dolore e orrore, ma anche di sogni e speranze. Non gettare via nulla… Appendi su tutti i muri gli incubi, libera in volo le lucciole. Un’ombra scura macchia la pagina azzurra del cielo.
Fa freddo… Ti avvolgi in una coperta di cenere. Inspiri l’odore nel vento.
Riavvolgi i tuoi passi… Ritorni da dove sei arrivato, il cerchio si chiude… Ma non sarà più la stessa cosa ora.
MAI PIU’.

(dedicato all’OLOCAUSTO)