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Cristina

Cristina.
C’erano curve una volta sotto i tuoi abiti, la morbidezza del seno, la sovrabbondanza dei fianchi, quel dondolarsi buffo, a metà tra seduzione e la sua pre

Stasera

Stasera
vorrei veder aperte
tutte le finestre
per salutare Enea.

Ho scommesso

Ho scommesso
su piedi senza scarpe,
ho tolto i bracciali,
prima uno poi l’altro,
ho graffiato lo smalto,
buttato via i lustrini.
 
 
Ho tolto
i ricci alle parole,
sciolto le vernici,
lavato via i sorrisi.
Dopo tanto sottrarre
sarei rimasta io.
 
 
E ciò che vedo
è piccolo,
ancora non si basta,
di nuovo chiede veli
l’anima nuda.

Senza nome

Stuprata, sventrata,
pattume,
giaci ai piedi di un albero.
Formiche percorrono dita,
ti scavano gli occhi,
tanto è vuoto
il mondo di sotto,
a che serve guardarlo?
Qui Caronte
sdentato nocchiero
non traghetta più anime,
qui v’è terra su terra,
nient’altro,
e il silenzio dei corpi.
 
Scomparsa, finita,
sottratta al respiro,
stai zitta,
ché la lingua corrosa
dai vermi
non conosce alfabeto,
per preghiera
uno squarcio irridente,
il tuo nome dissolto.
 
 
Ma nel sonno
ricrescano ancora
i tuoi lunghi capelli,
avvinghiati tenaci a radici

Cecilia

Stridono i violini
in agonia,
ali s’inventano
in spazi senza volo.
Suonano, suonano
girano d’intorno,
si fanno rondine
che non sa migrare.

E sono pugno di terra
da mangiare,
d’aria assetati
ignari delle mani,
note superbe
scappate tra le grate.

Pregano adesso
ancora, senza sosta
e tu, di madre assente
e ignoto padre,
regali loro
l’abbraccio dell’archetto,
un corpo a corpo
impossibile
col mondo.

Stridono, Cecilia,
i tuoi violini
dentro un commiato
che non ha parole.
Sarai domani, lieve,
sopra il mare,
l’orizzonte tacito davanti,
come musica
sommessa 
senza sbarre.

(Qs poesia si ispira al libro Stabat Mater di Tiziano Scarpa che mi ha particolarmente colpito. Cecilia è un’orfana sedicenne accolta nell’ospedale della Pietà di Venezia; insieme alle sue compagne suona il violino nell’orchestra dell’orfanotrofio. Ha modo di conoscere Vivaldi e la sua musica, ne subirà l’influenza ed eserciterà a sua volta un influsso sul compositore, ma alla fine dopo aver suonato per un giorno e una notte intera fino a stramazzare al suolo, deciderà di scappare da quella che è comunque una prigionia dove può suonare solo protetta da grate che si erigono tra lei  e il mondo)

Su davanzali di carta

Ed ora
su davanzali di carta
potrei piluccare tramonti,
appendermi dritta alla luna,
 
donarmi un corpo poetico
cosparso d’ambra e di miele,
d’essenza di rosa e vaniglia.
Si sa, il bergamotto è maschile
e sono sfiorite le viole.
 
Ma i tre Re Magi, affannati,
non credono più nei cammelli,
seduti tra le dune
si fanno il conto dell’oro.
 
Allora potrei
soffiare quartine di vento
in mulinelli d’inchiostro
per smuovere il loro deserto.
 
Ma ho in dote scabre parole
fissate tra queste  rughe
e ho spilli al posto degli occhi.
 
Seduta tra le mie dune,
ho visto scappare i cammelli,
sono animali infami
e anch'io non ci credo più.
 
 
 

 

 

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