blog di Marco valdo

Che c'era quella storia, del bibliotecario ceco, no, argentino, come le voci delle fanciulle a maggio;

Dicevo, c'era la storia dell'imbroglio delle lettere raffaz

Mi disse “sbrigati per tempo, che il tempo aspetta solo il tempo” e avrebbe potuto terminare così, senza strafare, ma aveva la mania del post, non gli sembrava mai abbas

Ma lassù, distante, difforme, che serviva alzare gli occhi al cielo, stava; primitivo al verbo, colmo di senso, per via dello spessore, delle lamine degli sguardi, patine del tempo.

Nessuno gli avrebbe regalato niente, non certo per interesse, ma neppure per umana carità, lui lo sapeva, lo capiva da come i più audaci si prendevano la libertà di st

 Gli si è eretto un orgoglio posticcio a raddrizzargli la colonna, una specie di verga rigida, che non poggia al pavimento, torvo lo sguardo, dall'alto verso il basso, non

Sognava sovente il piano di un biliardino, i respingenti, i funghi, le palette, la bilia di metallo non arrivava mai nei pressi delle alette, continuava a segnare le conseguenze sul numera

Attraversa il ballatoio come fosse sopra un legno, la mano stretta alla balaustra, l'arco delle gambe, lo strale del braccio, il peso della testa in avanti; sbarca sul marciapiede di u

Aveva un nome stupido, come Escamillo, lei ora non lo ricorda, ne ricorda la conseguenza, il punto focale trasferito nei pois gialli del farfallino, nelle finte toppe del cardigan, le cost

Aveva nei suoi ricordi un sottoposto giapponese, uno di quelli che si strusciano sulle gonnelline blu nel pendolarismo affollato, l'amore con lui era tutto di ginocchi, di lingua e suo

Saliva a me e scendeva di classe, come in un tango rampicante di cosce, che appunto si tromba all'impiedi, nel monolocale acustico delle scale, Piazzolla di porcheggio con la radiolina