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Eccoci tutti quelli degli avamposti.

Al limitare ultimo: una ciocca
e, appena sotto, la residenza di torpori;
eterni non saremo - per il continuo procurare corsa -
ma certo durerà quest’ansia a crescere speranze
dispersi nel ghibli di tutte le stanchezze, che ci spostano i passi fino a confondere le suole
e il sole.
 
Dateci un mattino di caravelle
andremo sulle vele maestre a fare vento di scoperte
andremo sulle tolde a queste nuvole di pioggia
che non lasciano i moli delle vette:
non trapassano; non si dissilvono
come pulsioni eterodosse
nelle carene dell’amore.
 
Non createci, vi prego, il dubbio della rotta.
 
E prego voi che foste i porti, e coloro che armeggiano nei seni
della costa,
ad aprire il ventre delle latitudini
ai nuovi sbarchi, alle piccole isole del cuore.
 
Perché, poi, dovremmo essere solo uomini e non già
un tufo, un mais, un gufo?
Non ho durezza anch’io dall’età?
Non ho forse le mie radici?
E gli occhi, non sono forse avvezzi alle nott’insonni?
 
Abbiamo lame in bocca che l’anima non tocca, ma la lingua,
la lingua è un perfetto lanciatore.
Le voci sono siepi articolate: un conto è fiorire, altro sarà
comprenderne la potatura.
 
Toccano echi le mani: si toccano sì parlandosi.
Tocchiamo le vocali, dai, cambiamo i rumori in spiccioli sonanti
e a i lumini diamo fiamme adatte a pensarsi faro
sulle scogliere perse
per le onde che sulle dita stanno come fedi:

Goder d'amore

questa che vivo, vita non mi pare
batte gelido il cuore a malapena
nel fondo l'anima perde la carena
fremiti non mi corrono la pelle
gli occhi non bevono più le stelle.
questa brezza lieve calma piatta
avvolge tutto come fosse ovatta
il tempo dei rintocchi è fatto lento
non vedo colori ne odori sento
seppure indubbiamente campo.
sorgi fenice vienimi a pigliare
aprimi il petto fallo sanguinare
che duolo ansie e gran tormento
vengono poscia un grande godimento.
 

il domatore delle ombre

...paragrafo quattro. luce che si adagia sul libro. pagine a metà tra la chiarezza e l'ignoto. rumori per strada. vanno e vengono delle idee frammentate che non riescono a fare presa. la mente corre dietro a quel puntino nero. poi lo lascia e si sposta , dietro a quella riga che sembra disegnare qualcosa. c'è un quadro storto (forse facendo le polveri?) e non me ne ero accorta. dovrei alzarmi e rimetterlo a posto, ma non ne ho voglia. lo fisso, forse si sposterà da solo, forse si rimetterà dritto, senza la mia mano. di nuovo quei rumori là fuori. la strada è un circo pieno di acrobati, tutti in giro avanti e indietro per farsi notare. io sono il migliore! io, io, ioooooooooovruuum.  spariscono tutti al di qua e al di là del viale. e il domatore delle ombre resta a guardare....

Sonata notturna

Fili intrecciati
recintati
recisi
son sordi sorrisi
Soli in notturna
Alleati
alle armi
spari e speranze
cadaveri
bari
eco e silenzi
Baci a nemici
tra mani il mio sangue
non sento più niente
neppure il dolore
d’un mio raffreddore
Ridendo
diranno
altro eroe da risparmio
Fili intrecciati
gomiti e miti
mite è la fine
la luce del giorno
sonata
intonata
cantata e tentata
tra tende di merda
tra tre tradimenti
Parti di Patria
da porti partiti
per sempre perduti
e mai stati perdenti
Fili intrecciati
figli lasciati
madri piangenti
e padri morenti

 

Mistero dell'amore

stringi i miei fianchi
nella seta delle cosce
poi accarezzaci il viso
ch'era posato sulle rose
del tuo seno glabro a
odorarne il profumo
così respirando forte
sveleremo insieme
questo mistero.

Cose Così [di piuma e di cotone]

Sono di biscotto i tetti appena sotto la neve, pronti a sbriciolarsi al primo scroscio di latte.

Come amori dolci presi in drogheria, tre etti, due zollette, un bacio steso sul  petto, attimi fioriti, plissé discreti, vendemmie di cieli cobalto.

Dici di noi?

E' una coperta quest'amore di notte arrendevole, raffica di piuma e di cotone in bocca,  toglie il respiro e lo ridà tremante. Le ciglia danzano su occhi, di trasparenze, i cristalli e il fiato sul viso.

Carezze seminude, portate in braccio ad un galà di luna, attutita nemesi di lacrime dondolanti.

Poggia sui gomiti la malinconia e osserva muta l'acero bianco, il sicomoro, il sempiterno.

Ti stringo la mano, attenta a non cadere.

 
Manuela

 

Tremore

come da una frattura della terra
resuscitano i miasmi del profondo
la cieca attrazione del precipizio
:
ogni cesura si paga e dà pena
 
lascia che il cuore batta
lascia che torni il respiro
aspetta, aspetta
:
la faglia si richiuderà
 
rimarrà solo un lieve tremito
non percepibile né percepito
come un rumor bianco
che a volte confonde
-e annebbia-
 
 

Stanotte vado a pescare

ho stracciato i miei pensieri in tanti piccoli, minuscoli pezzettini
ho gettato i coriandoli delle mie angosce nel canale sotto casa
mi sono fermato ad ascoltare il motore dei pescherecci in partenza

hanno galleggiato a lungo nello scuro dell’acqua del canale
ho atteso invano che il mulinello li inghiottisse, niente da fare
sono rimasti lì, fluttuanti, irrispettosi e vendicativi frammenti
di pensieri notturni indesiderati e stancamente abortiti

ho chiesto un passaggio ed ho preso al volo il peschereccio
stanotte lascio che le mie angosce affoghino nelle acque del porto
su un battello chiamato "poesia" vado a pescare, non aspettatemi
 

Tanti piccoli soldatini

Ricordo il mio nome, il numero di matricola che pazientemente mia madre aveva ricamato su mutandine, magliette, asciugamani e le poche cose che la piccola valigia poteva contenere. Il treno che da Milano portava alla colonia era stracolmo di bambini, ragazzini urlanti, vocianti ed eccitati per l’esperienza nuova o l’agognata vacanza. Era una Milano del primo dopoguerra quella che il treno si lasciava alle spalle e tutto intorno ancora aveva il colore, il sapore di un periodo appena trascorso. Il viaggio in verità era assai breve: meta la Liguria, destinazione Chiavari, precisamente la colonia Leone XIII, fulgido esempio delle politiche sociali del ventennio passato. Che volete che importi, che volete ne sapesse un bimbo di 6 anni, mentre incolonnato con altri 100 attendeva di presentarsi all’appello e al controllo medico? Seguendo la suora di turno che impartiva ordini come un caporalmaggiore arrivai finalmente a destinazione e si compì così la mia iniziazione: divisa, schedatura, visita e purga di rigore, non si sa mai, il cambio d’aria... Ricapitoliamo: il numero di matricola ce l’avevo, la divisa pure, schedato ero schedato.. la purga aveva fatto effetto…un perfetto piccolo soldato. Che volere di più? “Signore….signore…” la voce gentile di un’infermiera mi svegliò da quel sogno fatto ad occhi aperti mentre attendevo il mio turno per la consueta visita di controllo. Mi guardai attorno e pensai: tutto era cambiato per rimanere tutto come prima. Tanti piccoli soldatini.

 

Reality

L’Essere inspira
illuminato
da mille rifrazioni
trapassato
da aghi e filamenti
da aculei e da grafite
da vitree aguzze schegge
estranee.
 
L’Essere aspira
sognando cime
picchi di storia e di gloria
sommità di solitudini .
 
L’Essere espira
stremato da pozzi
di arsura
sfinito da paludi di calura
dilaniato
da sciabolate intestine
da braci rabbiose
tizzoni schizzati
straziati da imprecazioni
nidi di uova e di urla
pullulanti
covate di creature
pigolanti reciproci
estranei linguaggi
coltura di ofidi
e scorpioni
anfiteatro
di legioni
di sensori disperati di luce.
 
Inspira, espira
e spira
svuotato dimentico
stupito da tanta
abbondanza
di illusioni.
 
(estate 2007)
 

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