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Ares e l'amore

Io sono il distruttore di uomini
l'assassino
colui che è macchiato di sangue,
Ares, il brutale.
 
Non dio della guerra,
ma della furia cieca della battaglia,
dell'assalto alle mura,
del sangue che scorre a fiumi.
 
Voi, che rispettate Atena,
l'astuta stratega del combattimento,
esperta nell'arte di ingannare il nemico
e spingerlo nel precipizio,
e odiate me,
considerate questo se potete
 
: che io mai ingannai nessuno
e che spesso fui sconfitto
e anche deriso dagli dei.
 
E che è me che lei volle,
lei, la bellissima Afrodite,
infelice sposa del triste dio del fuoco,
mio fratello Efesto,
il deforme.
 
Si, io fui amato dalla dea dell'Amore,
e l'amai.
E con lei generai Armònia
colei che porta la pace,
la prima sposa.
 
E quale segreta trama si nasconda in questo
io non lo so
-ché il fato volle che fossi un bruto-
ma forse voi capirete
cos'è che unisce amore e cieca furia
e me lo direte,
un giorno.
 

Piccolo ricordo

Mi ricorderai
come piuma che vola su un fiume
come  lampo caldo nella neve
 
sconosciuto profumo
malinconica nenia
 
come un giorno di pioggia col sole
carezze su mani gelate
voglia di stare in silenzio
 
dolce richiamo di vita
sussurri di promesse
 
mi ricorderai
melodia senza soluzione
in un tempo di luce dorata
 
senza parole inutili
e ormai senza dubbi
 
mi ricorderai
colorandomi accanto.

Ma la tartaruga non romperà mai da sé il suo scudo

Ma la tartaruga non romperà mai da sé il suo scudo.

 

Freddo-notte

Nessuno ha il tempo di congelare il suono
ed è baccano sulla porta lucida
del silenzio di questo freddo-notte

Cancella tutti gli alibi e quest'effetto fata
esplodi, o sole denso dalle mani sporche
e facci fuori tutti, senza distinzioni
siamo i tuoi inquilini peggiori, facci fuori.

Il vuoto si confonde con le menti,
i baci, i corpi, il peso del petrolio
sul cielo ormai appassito
e le sue chiazze chimiche.

Seduti sulle pareti lisce
di quest'alambicco
scivoliamo nella tua bocca,
freddo-notte.

Le ossa trasuderanno il vino
non ancora smaltito
e sentirò i tacchi spezzati
delle donne che ho tradito.

A testa alta

Me ne vado a testa alta
con in mano un retino per farfalle
ad acchiappare
l'infinito.

Alieni

- Aita! Aita! Aita! - Sibilava con tono stridulo lo speaker, mentre schiacciava il pulsante che diffondeva un suono lacerante all’interno dei vari scompartimenti del veicolo. Corsero tutti in sala comando e davanti al monitor e videro la sagoma inconfondibile dello scafandro di un loro Combat, erano in attesa del rientro di uno scout, avanzare faticosamente, dirigendo verso il lato del portello di accesso per rientrare. Il più elevato in grado, C15.98, l’aveva esplicitamente inciso sul pettorale metallico, strillò: -Alla camera di pressurizzazione e attivare la decontaminazione.- Rapidamente, con un risucchio, l’aria fu sottratta dalla hall di ingresso del velivolo e il portellone si aprì. Seguirono momenti concitati, il nuovo venuto non pareva a suo agio nel salire nel carro, girava il capo da una parte all’altra quasi a cercare cosa fare. I Combat seguivano sul monitor del circuito chiuso tutti i suoi movimenti. Lo videro , una volta dentro, scagliarsi con violenza inaudita, contro un pannello comando dai pulsanti di molti colori, colpire all’impazzata distruttivamente, mentre il panico si stava impadronendo di loro. Sentirono aprirsi tutte le porte di accesso tra i vari locali e annichilendo, senza accennare neppure ad una minima reazione, si cercavano un riparo tra le attrezzature e le suppellettili, mentre si avvicinava l'energumeno che dalla apparizione sullo schermo, ora gli era di fronte. Di statura non superiore alla loro, brandendo un'arma da taglio enorme, si avventò sul più prossimo, lo afferrò e con un colpo solo, lo squarciò. Con la pelle che cangiava colore in continuazione, le pinne dorsali erette inutilmente minacciose, tra strilli, soffi, sibili, gli aggrediti correvano si urtavano, cadevano e si rialzavano, copiosamente mingendo e defecando incontinenti, caddero tutti sotto i colpi dell’alieno.

fegato

regge una vita
spugna
 urta sugli spasmi,
è nobile
se non ha bile,
e in un mare di nepente
 s'indurisce
negandosi. 

Dove mai ti vide un uomo così? [...]

A bussarti 
nel tuo guardare
come sulle finestre di una estate
una nuova, che acceca ogni frase
sarei privo di talento
- buffoneggiando un cardellino o un'upupa, per essere più d'èlite -
 
così navigo d'attorno
incerando i sensi alle sirene
cordata alle mie smorfie giulive
e salvarti
da tempeste irragionevoli d'orsa.
 
A velarti
certe nicchie in disavanzo
per il grado ottimale
delle lune al viso
e disperdere tra meridiani sciocchi
le schiene d'ogni postura
- distratto dalla scelleratezza beota di chi non mastica cicuta a iosa -
 
così presto la superficie specchiante
del disamore
alla mercè di tanto ingenuo
ammaliare
che si rinnova nel volteggio
delle pencole 
quando sbuffi un nuovo pensiero
e di luce ti fai tanta da morirmi... 

Come tra i panni spogli

Tornerà la triplice arsura di mistral
giù per gl’intonaci di sabbia
sui dorsi dei delfini e nelle gole dei gabbiani.
 
Sarà gobba la rotta inamovibile
per i flussi del nome perso: che gran bere ai ritorni sulle labbra del migrante,

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