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Alle porte del tempo

 
 
In questo giorno bifronte
chiudo la porta che apre il giorno
 
In questo giorno bifronte
chiudo la porta che apre la notte
 
Spalanco le porte dell'eterno
vagando tra l'uno e l'altro occhio
 
- osservando -
 
Innescato ora è il rumore
del vitreo silenzio
 
 
e m'incammino
dove il raggio piomba in terra
 
tra luci e ombre
 
 
 

Dominique

Quel tuo accadermi dentro non è stato un caso. Se hai presente, o forse no, è la zona dove il respiro non ristagna, mai. Sfoglio i capelli cercandone la fine mentre al sole e sulla panchina ti parlo. Di là c'è l'acqua sveglia. Ho lo sguardo nel vuoto e guardo dentro le cose, e intanto ti parlo. Penserai che i poeti fanno così e rincorri il colore smerigliato del sole, nei miei occhi. Nulla  mi appare vano in questa zona di respiro, profondo. Inseguo Dominique che si nasconde come una ladra negli stretti viottoli di Parigi sempre sporca, rincorrendo l'amore degli altri, negli alberghi a ore, con gli occhi soltanto...
Vorrei tenderle una mano e dirle che c'è un uomo, uno solo per la vita di ogni donna. Dominique già lo sa e si prepara alla morte.
Tu mi guardi e sei vicino mentre ti parlo -Sei bellissima- mi dici, ma Dominique è irraggiungibile. Stenderà un perimetro di rose sul letto dove ha deciso di morire. Non ha una vita, è senza amore! Di là c'è l'acqua, più in alto neve. Ti guardo nella bocca, sono così mite che mi potresti divorare d'amore. Mentre continui ad accadermi dentro.

La donna con il levriero

E' lei che elengante
attraversa la strada
con il bianco levriero
mentre Silvi
imbarca macchine in centro.

Ha qualcosa di regale
e mi viene voglia
di raccoglierle un fiore
mentre davanti la chiesa
una ragazza aspetta
con un uovo di Pasqua.

Attimi, pensieri
spuma di mare
e pesci di scoglio
ma domani
domani le dirò che non voglio.

Mi capita di pensare
una canzone
mentre lei si volta
ed incrocia lo sguardo
i miei occhi
sono racconti spagnoli.

Cambio canale
mentre il semaforo è rosso
e tutto quello che pensa
è solo
il gracchiare di un corvo.

La signora con il levriero
non fuma
ma ha mani fini
come se fosse
la donna di un conte.

Attimi, pensieri
spuma di mare
e domani chiudo
l'ultima valigia
con le ruote
con un libro di Schopenhauer

Taormina

non siamo fatti per sostenere lo splendore
di questo mare che s'annera
sotto al cielo livido
 
della terra spaccata dai fichi d'india
che strapiomba e si perde
mangiata dalle onde
 
no, non è per noi
che abbassiamo lo sguardo e tiriamo avanti
ma per quel gabbiano
che plana
solo
 
perdendosi all'orizzonte
 
 
Taormina, 26 marzo 2010

nell'attesa tua, giaccio spossata...

 ...su fogli strappati da denti cariati, su veleni disciolti. Oh Pin...
non c'è ancora odore 
di verdi mandorle, solo di licheni
muschi,ombre.
(allora sugli angoli poso polvere)
eppure ruggisce primavera
e nei ricordi del cuore 
nascono nuove gemme.
fragili, scosse,
sono esili,pallide, ma germogliano.
certo amano sfidare gli eventi
perché possiedono intrisa 
la storia di antiche vite.
ma reclamano aria pulita
condita di raggi
per rinvigorirsi.
(mentre i pensieri d'anidride nascosta
bruciano incessantemente ossigeno).
penso non sia giusto chiudersi
su campane di vetro per difendersi.
malgrado sia su duri ematomi
giallo-violacei,preferisco
il rischio di rompermi
che lo stallo d'esserci.
in due, Pin
c'è sempre stampella e appoggio,
ed ora che sei qui,
di nuovo fiamma, ti dico...
che sono fusa.
e prima di rincominciare ad aprire di casa, porte e finestre,aiutami
 a ripulire l'intero complesso.
curiamolo insieme,osserviamolo
amiamolo.
questo poliedrico involucro c'invita ad entrare, è un labirinto il nostro tempio... 

E per quest'anno ...

 
scioglie la neve
la calda meridiana
tiepida a pelle
 
brillanti occhi azzurri
dietro ciglia abbassate

Uno di quei giorni

talvolta tornare
a quel telo bianco
appeso alla parete
sul quale scarabocchiare
qualsiasi pensiero o movimento
una prateria un mare un cielo
ovunque per dovunque
scendere dall'astronave
in un campo indiano sioux
sul ponte della Croce del Sud
del pirata Uncino
o solamente tra i rami
vestiti di bianco del melo
nel giardino di casa.
 

Il filo

Ed ecco il racconti di un’altra amica del mio “Laboratorio”
 
Eccolo lì.
Sette e trenta del mattino, sul bus che mi porta in ufficio.Ma questa volta, no. Questa volta saprò resistere.
Lui è lì che mi tenta: bianco, sinuoso, lungo una decina di centimetri, appoggiato su un morbidissimo loden blu.
Per la precisione sulla spalla di un morbidissimo loden blu indossato da un distinto signore brizzolato, longilineo.
Sicuramente un professionista.
Sicuramente sposato, lo dice la fede all'anulare sinistro.
Che sia un professionista lo rivela la cartella in vero cuoio, firmata “The Bridge”, di certo molto pesante. Lui però la porta con disinvoltura, come fosse di tela di cotone.
E' chiaro che è uno sportivo. Ha il fisico asciutto, probabilmente un giocatore di tennis o un nuotatore, vista la dimensione delle spalle.
E, su quella destra, appoggiato con noncuranza, con andamento flessuoso, c’è la mia ossessione.
Nuovamente i miei occhi lo fissano e la mia mano sta per sollevarsi, per avvicinarsi e toccarlo.
No, l'ho già detto, questa volta no. Resisterò.
In fondo a me cosa importa se quel signore così distinto, così elegante ha sulla spalla destra del suo loden blu un lungo, sinuoso filo bianco?
A lui non da alcun fastidio, neanche se ne accorge.
Non pesa.
Cosa vuoi che sia per uno così, che regge quella cartella, portarsi anche il filo bianco addosso? Di certo non è questa banalità a svalutare una figura tanto elegante e fare di quel bell’uomo una persona trasandata.
Certo, ma a me, da fastidio.

Città morte

Parlo delle città mute
quelle morte
specchio di vicoli e miserie
perlopiù
qua e là ricche di pietra e fiori.
Le città morte
di anno in anno
fioriscono d'ipocrisia
e pochi resistono al rito.
Eppure la pietra
resta lì
secolare, un po' spaurita
a cercarsi il silenzio consueto
a consumare lo spazio
e cresce.
Sono città forti quelle morte
sanno reggere la debolezza
nutrite a lacrime e nostalgia
sfidano la natura
e vincono.
E la terra altro non può
che soccombere al cemento.

E per te un fiore di girasole

Ho raccolto un girasole da un campo del color dell’oro,
l’ho preso per te, che come questo fiore solare
sei allegria scanzonata, gioia di vivere, un capolavoro;
tutto quello che un uomo vorrebbe per se… per volare.
 
Sto in mezzo al campo, vento nei capelli, girasoli intorno;
ho imparato che vivono della forza che il sole produce
e, fedeli e tenaci, ne seguono i raggi durante tutto il giorno,
con un messaggio, una lezione di vita: segui sempre la luce.
 
Per sè non chiede nulla e sopporta il rigore d’inverno;
quel girasole, che solo ama la luce, è sentinella d’estate,
come il sorriso tuo, che scalda l’anima e nei tuoi occhi è eterno.
Un fiore e un sorriso: una luce profonda, due vite legate.
 
Ma come ho colto l’inconfondibile fiore, docile fra tanti,
non ho preso te, unico fiore, luce radiosa di tante aiuole;
presenza ineluttabile, sebbene solo per pochi istanti.
A te, per un tuo indimenticabile sorriso, dono questo girasole.
 
        

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