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Sliding doors taglienti

Non avrei dovuto esserci quella sera. Però ci andai lo stesso in palestra. Avevo qualcosa da portarci: la mia vita insieme ad altro. A scuola mi pare che si parlasse della possibilità, per delle rette parallele, di incontrarsi in un punto all'infinito. No. Non sono sicura che ne avessimo parlato a scuola. Da qualche parte di sicuro dovevo averla sentita. Ero troppo occupata con i miei esercizi ed allenamenti, per farci troppo caso. Ma, ad un dato momento, ne fui sicura di essere arrivata a quel punto. E che quindi non ci fosse da proseguire oltre. Con stupore doloroso, nella notte, mi ero guardata in giro: era un campo incolto. Anonimo e insignificante, nemmeno i ragazzini ci venivano più a giocare. Perchè alla guerra ci si gioca alla play station ormai. Ma che ci facevo in una simile terra di confine, non lontana dal fiume? Un posto che nemmeno t'immagini che possa avere dignità. Tantomeno che possa finire per diventare la scena per un epilogo tragico. La gente ci passa incurante facendo footing. Mi spiego: non c'erano quegli aspetti ambientali che potessero renderlo così malfamato, da contarci i classici morti ammazzati per rapine o regolamenti di conti. Squallido lo era di suo senz' altro. Ed io ci stavo finendo la mia esibizione, in quel luogo nell'infinito. Uno spazio che per me prima non esisteva, che non è mai esistito nemmeno per gli altri. Fino a quando non mi ci hanno ritrovata: riversa e semi mummificata, tra erbacce infestanti bruciate dal gelo dell'inverno. Come ci fossi finita  non importa. Per quanto concitata violenta o truffaldina, l' azione non merita molte parole. Tanta è la banalità del vivere e degli accidenti che possono interromperlo nel suo svolgersi. Ma questa è un'altra storia di saggezza non ancora mia del tutto. Vorrei solo porre l'accento sul motivo per cui non ci fossi stata ritrovata subito, vista la poca distanza dal mio luogo di residenza. Semplicemente: prima che mi ci abbandonassero ferita e tramortita già non esistevo più. Non avrei dovuto esserci quella sera in palestra. Come potevo sapere che andandoci sarei finita in quel luogo, nel punto d'incontro per linee parallele di due destini:quello della vittima, il mio, e quello del carnefice. Resti di un crimine in decomposizione dunque rimasi io. E spirito con molto da recriminare, acquattata tra l'erbaccia alta e fantasmatica nella foschia. Perchè parlarne? Tanta la tristezza che aleggia con la nebbia. Non servirebbe aggiungerne altra ad ispessirne la cappa. Non servirebbe. Ma l'impulso è altro: è di dire, di non sparire del tutto, di soffiare forte ad agitare di sdegno gli steli. Forse che non sia ingiusto e malinconico, spegnere gli ultimi istanti della propria giovane vita in questo modo? Quale ragione o motivo è sufficiente a giustificare tale orrore? Vaneggiamenti tra un rantolo e l'altro, nel silenzio raggelato delle notti, silenzio che ricopre e protegge chi mi ci trascinò qua. In preda ad una libidine malata, delirio di onnipotenza: tanto ero ragazzina, appetibile, perciò da violare e possedere, se non da corteggiare. Avrebbe potuto essere un signor nessuno, chiunque, un parente, una di quelle figure amicali che mi ha vista crescere bella e desiderabile. Dall'ombra una promessa di rinnovata giovinezza, un desiderio inconfessabile nel buio, una follia bella e tragica da coltivare nell'ombra: ed alla fine scaricare qua, tra la campagna aperta, il fiume e la stradina per l' inferno, con la brina ad imbiancare all'alba un mondo in dissolvenza. Il mio corpo in decomposizione, imperlato e sfibrato da affanni e ferite, anzi, per il freddo, diranno che ho smesso di respirare. Mondo evanescente siamo. Se appena adolescenti si può perdere ogni cosa. Solo perchè una sera non si dovrebbe stare in un posto ed invece ci si è, finendo accoltellati ed irrilevanti. Anche coloro che mi cercarono erano inconsistenti.Del resto come si fa a cercare in un posto che non esiste una persona che non è già più? Li sentivo ansare e parlottare d'ìintorno del più e del meno. Fantasmi anch'essi, ma di altra natura, mi hanno sfiorata senza vedermi: cadavere urlante non più esistente. Di loro non vorrei dire, perchè altrettanto incolpevoli: file e schiere di uomini con cani, elicotteri, ogni cespuglio frugato, zolle rivoltate, il tutto per arrivare a qualcosa di più grande di me, molto più grande: ci provai a farmi sentire, poi rinunciai. Sarebbe stato inutile ed avrei disturbato lo sforzo per la rappresentazione estetica di come dovrebbe essere una ricerca in grande stile. Io così sottile ed insignificante ero. no, non vorrei dire di costoro: mi cercarono in lungo e in largo, tra rogge,sterpaglie e robinie, in cantieri e discariche. Sforzo comunque ammirabile e rispettabile. Io che riversa non avevo più  forze, prima ancora dello schiarirsi dell'orizzonte della prima notte. Non pregavo più che qualcuno potesse  ascoltarmi, vedermi o annusare il mio odore: l'odore del sangue, del mio sangue ormai raggrumato. Perchè alle volte l'aria è così densa da non lasciare filtrare rumore o messaggio altro? Sarebbe stato necessario che fosse qualcuno che non avesse nessuno interesse  a rinvenirmi, a far sì che potessi tornare a galla tra gli sterpi, almeno come cadavere. E così fu: tra un volo e l'altro di un aeromodellino mi notò. Allora fui infastidita dal chiacchiericcio. Considerai di non meritare tutti quei curiosi in giro, a cancellare le pur minime tracce, vecchie di mesi, di chi si fece responsabile della strame. Ma già fu qualcosa pensare che a bagnarmi sarebbero state le lacrime dei miei cari. Vorrei dire di quanto dovrebbe elevarci una spanna sopra le nebbie della coltre della dimenticanza. Però sono vissuta troppo poco per capire. Per comprendere come sia possibile che, in certe occasioni, l'amore non basti, come ogni legame si attenui, fino a lasciare muti nell'incomunicabilità.  Sarebbe bastata una fitta in petto, appena sottile. Un intuito, insignificante deviazione mentale dalla strada tracciata di ogni giorno. Come quando si pensa, all'alba, che il mondo ci ama. Ed alla sera si giunge coronate di rose e ristorate dalle coccole più dolci ed affettuose. Invece: niente. Quella maledetta sera il nulla: non arrivavo a casa. Nessuno presentì.
So che non c'è più tempo per le spiegazioni. I chiarimenti sono ben lungi dall'essere esauriti,  ma non ho più strumenti per interpretarli. Posso solo sciogliermi con i miei interrogativi, misera cosa. Pure nella memoria di chi mi elevò ad oggetto di conquista e poi a corpo fastidioso da rimuovere. E' molto avanzato il processo di rimozione, di cancellazione di me, relitto, dalla  coscienza profonda, anche come lontanissimo senso di colpa.

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