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Un racconto himalayano

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Davvero la vuoi ascoltare questa storia? È una storia curiosa. Lo sai, tutto inizia sempre per caso. È il caso che ci forza la vita, oppure no?

Certo, tu ora mi dirai che tutto è già stato scritto sul grande libro della vita; il mio e il tuo destino. Ma è davvero così?

È successo un pomeriggio di molti anni fa, a causa di un libro. Già un libro; una copertina cartonata contenente pagine stampate, carta impregnata di parole che descrivono luoghi e persone.

Lui mi aveva già scelto, parlo del libro naturalmente. Descriveva un paese che ha del fantastico, dove le montagne sono il tetto del mondo, e si immergono nel cielo. Dove la vita è dura, essenziale; la spiritualità, intrisa nell’aria, è presente ovunque attorno a te.

Ho iniziato a leggerlo, dapprima distaccato, poi sempre più coinvolto, mi parlava di quel mondo strano, lontano da noi. Man mano che leggevo, quel libro rivelava davanti a me un cammino spirituale, un percorso per l’anima. Alimentava la mia curiosità, parlava del Nepal e dell’Himalaya, di luoghi e popoli lontani.

Lo sai che le storie sono simili tra loro. Parlano dell’uomo, del suo lento perdersi nella vita. Del cammino che percorre con altre persone, del suo smarrirsi e del suo ritrovarsi.

 

Fattostà che dopo poco tempo, il destino si presenta nella mia buca delle lettere sotto forma di un depliant che illustra un viaggio in quei luoghi. Un forte invito, un irresistibile richiamo.

Parto con altre persone, una comitiva, una carovana; un lento incedere di portatori e yak al seguito. Persone che formano un lungo bruco scuro che ondeggia lungo un sentiero; che si muove tra una valle ed un fiume.

Camminiamo durante la stagione dei monsoni, con la pioggia che ci accompagna. Durante il cammino incontriamo tre uomini, dei mistici indù, o forse di un'altra religione, provenienti dall’India. Li affianchiamo, e percorriamo un tratto di strada con loro.

Tu lo sai che quando si viaggia e ti capita di incontrare altri viaggiatori, solitamente si domanda le solite cose: Chi sei? Da dove vieni? Dove vai?

Come nella vita d'altronde. Incrocio lo sguardo di uno dei tre, ci fissiamo incuriositi per un istante, poi lui sorride.

Gli dico che arrivo dall’Italia, lui mi risponde, in un inglese smozzicato:

- Tu arrivi da molto lontano.

Figurati; io arrivo da molto lontano? Con l’aereo, superare queste distanze, oggi è uno scherzo. Loro dall’India ci sono arrivati a piedi.

- Dove andate? – gli domando a mia volta.

Mi rispondono con brevi frasi. Capisco che si stanno recando in un villaggio insediato oltre il passo a fianco della valle.

- And you? - mi domandano.

Indico con il braccio, la nostra meta, una cima sull’altro lato del fiume. Lui dice di no, poi dice:

- You have to go there … - , pronuncia un nome in tibetano che non riesco a decifrare. Poi sorride con un sorriso che scuote l’anima. Penso: figurati se io devo andare lì, non ha capito che noi dobbiamo fare quella cima; bè, lasciamo perdere.

Riprendiamo la marcia. L’aria è frizzante, rabbrividisco allacciando il colletto della mia camicia felpata. Loro, i tre indiani, sono a torso nudo con una fascia che gli cinge i fianchi. Camminando li distanziamo, perdendoli di vista.

Arriviamo ad un ponte, non vi sono altri guadi. Un mulino ad acqua alimenta alcune ruote di preghiera. A causa delle piogge il fiume è ingrossato, il ponte non è praticabile.

Decidiamo allora di raggiungere l’altro ponte, all’inizio della valle.

Saliamo su, verso le pendici di un passo, le distanze sembrano enormi, l’aria è rarefatta, le montagne che ci attorniano hanno in sé una strana forza. Sembrano presenze divine, inaccessibili.

Il vento spazza via le nubi, la pioggia si arresta di colpo. Vedi l’ombra delle nubi che corre lungo la valle, scoprendo al suo passaggio il sole. Appendiamo i nostri panni ad asciugare. Stormiscono al vento come foglie impazzite. Il paesaggio è fantastico, non sai se stai sognando o se tutto ciò che vedi è reale.

Seduto su una roccia, mentre osservo la valle, un brivido corre lungo la mia schiena; avverto la presenza di una figura al mio fianco, sembra che si sia materializzata dal nulla. La guardo, ma riesco a cogliere solamente alcuni particolari di quella figura: sembra la mia immagine sdoppiata. Leggera, inizia a muoversi velocemente lungo una traiettoria diritta davanti a me come se corresse su un binario invisibile, poi scompare dalla mia vista dissolvendosi.

Visibilmente scosso, penso ad un'allucinazione dovuta all’aria rarefatta, all’altitudine. Raggiungo il resto del gruppo. Ci mettiamo in contatto via radio con un gruppo che sta risalendo la valle; ci comunicano che da stamani anche l’altro ponte, per via della piena, non è più praticabile. Siamo quindi bloccati, non possiamo raggiungere la nostra meta.

Decidiamo allora di salire in un luogo dove troviamo campi di grano e orzo, sembra di essere ripiombati di colpo nelle nostre pianure. È un luogo insolito per queste coltivazioni; soprattutto a questa quota. Sul fianco della montagna vi sono due santuari; sono molto antichi e appartengono a due diverse religioni. Sorgono affiancati come due gemelli.

Decidiamo di visitarli, saliamo. Gli sherpa indicano il luogo con un nome che ho già sentito, ma non ricordo a cosa sia riferito.

Giungiamo davanti al santuario. Vedo due persone che mi osservano sorridendo. Poso a terra lo zaino, mi avvicino.

Allibisco interdetto. Una delle due persone è l’esatta copia di me stesso. Sorridendo si dissolve di colpo. Riconosco nell’altra persona l’indiano incontrato sulla strada. Guardo sgomento il terreno vuoto al suo fianco, dove un istante prima c’era quell’inquietante presenza.

Di colpo mi rendo conto di dove mi trovo. Le parole:

You have to go there … tu devi andare là … rimbombano nella mia testa. Osservo gli occhi scuri dell’indiano, brillano di luce. Sorridendomi, congiunge le mani davanti a sé, poi le porta verso la fronte in segno di saluto.

Su una pietra alle sue spalle leggo l’incisione di un mantra:

OM MANI PADME HÙM (Salve gioiello nel fiore di loto).

Ora tutto si è compiuto.

 

Volevi una storia? Bene te l’ho servita, ma ora si è fatto tardi; vai, devi ancora timbrare il cartellino.

 

 

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