Scritto da © Anser - Mer, 12/01/2011 - 15:53
Vediamo nascere i figli
con lo stupore di dio sul volto.
Loro, a viaggiare i mari
[rami a tracciare segni]
torneranno, con cicatrici salate
a vederci morire, come cose posate,
pensieri alfine conclusi,
la voglia lieve d’andare
finalmente leggeri.
Ci terranno, forse [con gesto di paura]
la mano ghiacciata da troppo sole,
da troppo mare. A significare
parole coniugate
ad ogni accenno di luce.
Chiederanno [celando stupore]
se abbiamo memoria
dei respiri colti
per ogni amore, se rimane,
alla fine, un’onda nel cielo.
[…ma non potremo rispondere
se non con un sorriso di cera…]
Che ogni cosa, alla fine, sfuma
a chiudere il cerchio, a negare,
[come estremo tentativo di volo]
che l’amore inganna se stesso,
s’innamora di sé.
I narcisi, nei campi,
sono bianchi, a maggio,
come d’inverno la neve.
Chi piangerà, tra noi e loro
[ogni estrema scommessa, ogni iato]?
Gli occhi, infine,
avranno lo stesso colore,
a dividere il viso
una ruga a linea tesa.
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