Mi sembrava di essere sollevato dal mondo seduto su quella Dyane di colore beige. Una quattro porte spaziosa, dall'abitacolo confortevole, più grande della cinquecento, dove mi pareva di essere dentro una palla da tennis. La Dyane sembrava davvero la copia di un'auto vera, una quattro porte economica di quei mitici anni settanta.
La strada saliva da Meana e attraversava folti boschi di castagni, poi il bosco cedeva il passo ai tornanti e si intravedevano delle betulle ai bordi della strada. Carlo scalava le marce con quella leva del cambio che sembrava un manico d'ombrello piantato dentro l'abitacolo. Non sapevi mai dove fermare la leva. Se la posizione era giusta. Se avevi ingranato la marcia oppure no. Proprio strani 'sti francesi!
- Me l'ha regalata la nonna per la maturità. - aveva detto Carlo mentre affrontava i tornanti, poi aveva aggiunto:
- La strada sale ma fortunatamente è asfaltata fino in cima.
- Dove andiamo? - avevo domandato incuriosito.
- Più su c'è un laghetto. Lì termina la strada, poi c'è un sentiero che porta ad un rifugio. Si possono fare due passi verso il rifugio.
- Sì. C'è un caldo che fa schifo!
L'afa avvolgeva tutto, calava nei boschi e l'asfalto sembrava, per l'umidità, che brillasse. Era davvero un mese d'agosto insolito, caldo e afoso.
Eravamo giunti sul piccolo piazzale. Il lago era incassato tra gli alberi che gli facevano da corolla. Un tronco affiorava dall'acqua. Su un lato un piccolo chalet disabitato.
- Parcheggiamo qui.
- Sì, Carlo. Gira ora la macchina verso la strada. Così per il ritorno non devi fare manovre strane. Ci sono già delle auto parcheggiate, magari ne arrivano altre.
- Sono di quelli che sono andati stamane al rifugio.
Aveva chiuso quel singolare finestrino che scorreva in orizzontale con la chiusura a pomello da cui usciva un perno metallico (questi francesi...). Poi ci eravamo incamminati verso il rifugio. Un piccolo ruscello scorreva a lato del sentiero e, a tratti, si vedevano tracce fresche del passaggio di mucche. In un salto d'acqua una piccola turbina generava la corrente elettrica per un alpeggio vicino.
- Che pace...
- Bè' non è come in città,- aveva risposto Carlo.
- D'accordo, ma vivere sempre qui, sai che roba!
- Alla fine ti adatti. Su, in Val d'Aosta, in alcune borgate vivono così.
- Sarà...- avevo risposto guardando il panorama bello ma aspro, feroce. Sembrava che il bosco si stringesse e ci schiacciasse. Giunti su un piccolo spiazzo si vedeva uno spicchio di valle, lontano, verso il basso.
- Guarda che cielo grigio...
- Sembra che tiri aria di temporale – Carlo non aveva finito la frase quando una saetta, accompagnata dal relativo tuono, aveva squarciato il grigio del cielo. Poi aveva aggiunto: - Ci conviene tornare all'auto.
- E anche di corsa! - avevo detto io.
Fatto dietro front, avevamo allungato il passo. I primi goccioloni avevano attraversato il folto dei rami e la barriera delle foglie e ci erano piombati addosso come sassi. Si sentiva nell'aria odore di terra ed erba bagnata. Ora correvamo lungo quel sentiero che avevamo salito lentamente - misurando i passi e modulando il respiro - con gli scrosci d'acqua portati dalle raffiche del vento che ci incalzavano. Eravamo zuppi. La mia maglietta e i jeans sembravano essere appena stati tirati fuori dalla tinozza del bucato.
- Dai, che ci siamo! - aveva urlato Carlo, sopra il fragore del temporale. Un lampo e un colpo secco di tuono. Una barriera d'acqua la cui intensità era tale che cadendo si vaporizzava all'istante. Ci separavano dall'auto una cinquantina di metri. Correvamo, con l'acqua che ci colpiva in viso. Non si vedeva un granché. C'erano le raffiche della furia del vento, l'acqua, i lampi, i tuoni e noi.
- Merda!- ero scivolato a terra.
- Dai... forza...- Carlo, raggiunta la macchina, aveva spalancato la portiera verso me. Un colpo secco, la portiera chiusa e noi ci eravamo ritrovati grondanti d'acqua, finalmente al coperto. L'abitacolo della vettura rimbombava come un tamburo. Fuori infuriava il caos. Rami che sbattevano, foglie che volavano e raffiche di pioggia battente.
C'era stato un lampo intenso, seguito dallo scoppio assordante del tuono.
- Questo sembra essere caduto vicino. - Una immensa saetta ci aveva abbagliato.
- Dai, Carlo, togliamoci di qui! - avevo urlato, visibilmente scosso.
- Sei matto? - mi aveva risposto lui e aveva aggiunto: - Non si vede nulla. Ci manca ancora che andiamo a piantarci contro un albero... E' un temporale, non durerà a lungo. Aspettiamo che passi.
- Sarà... però siamo bagnati fradici, non puoi accendere il riscaldamento?
- Ho letto da qualche parte che la dinamo può attirare i fulmini e che durante i temporali conviene tenere il motore spento.
- Fammi capire, Carlo, con tutte le piante e le rocce che ci sono qui attorno, proprio sopra la tua macchina deve cadere il fulmine? siamo come due granelli di sabbia in una spiaggia.
Un altro lampo aveva illuminato l'abitacolo a giorno.
- Questo è caduto davvero vicino. - avevo esclamato, mentre Carlo stava contando con le dita.
- Che fai?
- Calcolo a che distanza è caduto. Calcolo l'intervallo di tempo tra il lampo e il tuono e lo moltiplico per la velocità della luce... questo è a circa ottocento metri da qui.
- Ma tu non hai fatto ragioneria?
Un' altra saetta e poi il tuono e, in successione, ancora un altro lampo seguito dall'assordante scoppio.
- Sembra che si stia allontanando, e sta diminuendo d'intensità: questo è a due kilometri.
- Carlo, il colonnello Bernacca al tuo confronto è nessuno...
Mentre mi sfregavo le braccia per riscaldarle, lui aveva sorriso.
- Sì, sì, ridi. Tanto lo so che finirai dietro a uno sportello di una banca.
La pioggia continuava a tamburellare sulla carrozzeria ma con meno forza. A terra, rivoli d'acqua trascinavano via ciuffi d'erba, foglie e rami spezzati. Mentre calava l'intensità della pioggia, il temporale si allontanava verso il basso. Lampi e tuoni rimbombavano nella valle illuminandola. Nel cielo si era aperto uno scorcio tra le nubi ed alcuni raggi di sole sembravano fari proiettati a terra. Così, come era improvvisamente scoppiato, il temporale, allo stesso modo, era cessato.
- Sembra che stia finendo, scendiamo?
- Sì.- aveva risposto Carlo, mentre armeggiava nel mettere in moto quella vettura francese dalla spiccata personalità.
Eravamo scesi lentamente su quel terreno smosso, evitando le buche e le pozze d'acqua, ondeggiando dolcemente come in barca. La Dyane aveva delle sospensioni davvero esagerate. Un paio di tornanti e poi avevamo ritrovato l'asfalto. Nell'aria si espandeva un forte odore di terra e di asfalto bagnato. L'odore buono che si sente in città dopo i temporali estivi, quando il manto d'asfalto inizia a evaporare. Avevamo lasciato i boschi alle spalle e imboccato la statale.
- Ci facciamo birra e patatine?
Carlo si era voltato verso di me, poi sorridendo aveva detto:
- Perché no?
- Blog di Rinaldo Ambrosia
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