Scritto da © Rinaldo Ambrosia - Gio, 28/05/2015 - 20:41
E’ su questa sedia che trascorro attimi in cui il pensiero si libera dall’alcol e dalle droghe e posso pensare alla mia pittura. Sì, ha un bel dire Jeanne “Dedo smettila di bere…” posso farlo quando voglio. Ma è il demone della pittura che mi assale, che mi costringe ad annientarmi a stordirmi con le droghe.
Passano dei contadini davanti ai miei occhi, negozianti, dei distinti borghesi, donne con i bambini e donne che fanno la vita. E di tutti io colgo i loro tratti, li fisso con la mano sulla carta, semplifico le forme, le figure, il loro sorriso, il loro sguardo. Disegno, disegno e ancora disegno. Quando conoscerò le loro anime dipingerò anche i loro occhi. Sottraggo, le loro forme, come la vita sottrae le mie mentre mi scava dentro.
Sto dipingendo un ritratto, questa volta il mio. Non declamo più ad alta voce pezzi della Divina Commedia, dipingo in silenzio, in quel silenzio che mi assale e cancella la mia immagine. A volte penso alla mia lontana Livorno, qui a Parigi, al chiuso del mio studio di rue de La Grande Chaumierè, penso alla sua luce e ai suoi colori. Rivedo i luoghi dove un giorno ho pianto e le mie ferite si riaprono. Poi la testa gira, si perde in mille frammenti. Vendo i miei disegni per pochi franchi o per qualche bicchiere di vino. Qualche goccia di quel vino scivola sul velluto della mia giacca e cade a terra, tra le assi del pavimento, in questo studio che è vuoto come la mia anima. Poi mi caccio in testa il mio cappello ed esco in strada come un cane randagio. Jeanne aspetta un bambino, fra poco sarò padre. Bevo sempre più. La tubercolosi non mi da requie, tossisco di notte e i vicini bussano alla parete per zittirmi.
Che vadano al diavolo!
Amedeo Modigliani, detto Dedo o Modì, Livorno 1884 – Parigi 1920
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