Scritto da © Rinaldo Ambrosia - Ven, 12/09/2014 - 13:35
Lo sapeva che gli era rimasto quel numero di telefono spaiato, privo del proprietario. Non ricordava più chi fosse. Avrebbe voluto essere in Svizzera, a guardare il lago e le montagne, i treni e la neve, ma era fermo alla stazione di una fermata della metropolitana priva di senso. La sua vita era un condensato di emozioni, ma era la sua anima un vero frullato di istanti spezzati.
Avrebbe voluto volare via con quella leggerezza che non gli apparteneva più da anni. “L'estate che non torna” l'aveva definita quella stagione difficile, pesante, densa di incontri dove il suo essere irrequieto navigava in acque sempre più mosse. Cercava di fissare il suo pensiero su un ricordo, un ricordo veritiero, non confuso e narcotizzato dal tempo, e si ritrovava con l'immagine di se stesso, un uomo solo in attesa del metrò.
Colpa dell'autunno incombente, di quella stagione dove le foglie vanno via, così come i suoi ricordi, era un po' come dismettere, con una alzata di spalle il passato, e un ritrovarsi nel mondo presente dove un deserto lo attorniava senza alcun calore. Così, attraverso il ricordo, viveva la fioritura d'un istante, come il risveglio dei semi dopo le piogge nel deserto di Atacama, a quella fermata della metropolitana priva di senso, mentre la vita scorreva via.
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