Scritto da © Rinaldo Ambrosia - Mer, 12/11/2014 - 23:08
Era una passione sbocciata sull'orlo dell'estate, in quell'anno anonimo di inizio secolo.
Una paglia che bruciava al fuoco del desiderio, che consumava le notti nell'ardore dei gesti. Si poteva parlare di amore? Di certo tra le effusioni dei corpi si faceva largo, lento e in sordina, un sentimento più sottile che saturava i bisogni esistenziali inappagati di entrambi. Le ferite dell'abbandono venivano colmate dalle loro presenze, da quelle parole che scorrevano tra loro leggere, intrecciandosi come bastoncini di Shanghai . Era un mutuare di sorrisi, un attraversare spazi comuni, un sentirsi a casa. Il tempo misurava i loro passi, macinando i giorni e avviandoli all'epilogo. Il mondo stesso, nei momenti di felicità, dove uno sguardo valeva l'intera giornata, sembrava scomparire. La vita medesima sembrava osservare quell'amore sbocciato all'improvviso come un fiore tra le crepe di un muro. Erano passati anni da allora, molti anni, entrambi avevano perso le loro tracce. Destini diversi che la vita aveva giocato sulle loro teste. Si erano rivisti, anni dopo, ad una festa in occasione del Natale. Il tempo aveva segnato i loro tratti, ma gli sguardi erano gli stessi, vivi come allora. Gli occhi, come l'anima, non mentono. C'era dolcezza in quegli sguardi e calore nelle loro parole, come una vecchia coppia felice. Avevano parlato del tempo e della festa, mascherando il loro bisogno di comunione ritrovata, attraverso un dialogo banale, convenzionale. Il tempo, il grande solutore, aveva cancellato la loro frequentazione ma non quegli anni dalle emozioni rigogliose come messe di campo matura.
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