Scritto da © Rinaldo Ambrosia - Lun, 08/06/2015 - 09:18
– Si accomodi. – La sua voce, in quello studio che frequentavo da tempo aveva il potere di acquietarmi. Mi ero seduto sulla solita poltroncina bianca, davanti a lei, la mia analista.
– L’ascolto – e, con un cenno della mano, mi invitò a parlare.
– Vede dottoressa continuo ad avere quel sogno ricorrente che mi inquieta.
– Vuole parlarmene?
– Succede che mi ritrovo all’improvviso a scendere una scala… una scala antica, e man mano che scendo gli scalini la luce diminuisce gradualmente, sino a formare una penombra dove distinguo a mala pena l’ambiente…
– Si…
– Poi succede che di colpo mi torna in mente il racconto di Edgar Allan Poe, ha presente “Il pozzo e il pendolo”? Bene. No, anzi, male. Ho paura che una lama, oscillando, cali… lentamente sulla mia testa… allora mi paralizzo… non riesco più né a salire né a scendere. – Vede dottoressa… – gli dissi, mostrando per la prima volta un certo imbarazzo, – alzo lentamente la testa e quando mi accorgo che non c’è nessuna lama, e finalmente tiro un sospiro di sollievo, con orrore mi rendo conto che sono paralizzato su quello scalino e che dal fondo del pozzo, con un sinistro gorgoglio, sta salendo una colonna d’acqua. Morirò affogato… A quel punto dell’incubo squilla una sveglia e io mi ritrovo con gli occhi aperti nel mio letto, in un bagno di sudore.
Lei diede un colpo di tosse, mi guardò e poi disse:
– Riesce a riaddormentarsi dopo?
– Sì, anche se l’ultima volta che mi è successo, c’è stato uno sviluppo positivo.
– Mi dica…- Tacqui, osservando lei che mi incoraggiava con un sorriso.
– L’ultima volta… be’ l’ultima volta, nel momento che ho alzato la testa per vedere la lama del pendolo (che ovviamente non c’era), è comparsa al mio fianco una figura eterea, luminosa, di un uomo non più in vita, che mi incoraggiava a scendere in sua compagnia. E siamo scesi, scalino dopo scalino, e più scendevamo, più l’ambiente si ammantava di luce. Ad un tratto mi indicò una porticina, l’aprii e…
– L’ascolto – e, con un cenno della mano, mi invitò a parlare.
– Vede dottoressa continuo ad avere quel sogno ricorrente che mi inquieta.
– Vuole parlarmene?
– Succede che mi ritrovo all’improvviso a scendere una scala… una scala antica, e man mano che scendo gli scalini la luce diminuisce gradualmente, sino a formare una penombra dove distinguo a mala pena l’ambiente…
– Si…
– Poi succede che di colpo mi torna in mente il racconto di Edgar Allan Poe, ha presente “Il pozzo e il pendolo”? Bene. No, anzi, male. Ho paura che una lama, oscillando, cali… lentamente sulla mia testa… allora mi paralizzo… non riesco più né a salire né a scendere. – Vede dottoressa… – gli dissi, mostrando per la prima volta un certo imbarazzo, – alzo lentamente la testa e quando mi accorgo che non c’è nessuna lama, e finalmente tiro un sospiro di sollievo, con orrore mi rendo conto che sono paralizzato su quello scalino e che dal fondo del pozzo, con un sinistro gorgoglio, sta salendo una colonna d’acqua. Morirò affogato… A quel punto dell’incubo squilla una sveglia e io mi ritrovo con gli occhi aperti nel mio letto, in un bagno di sudore.
Lei diede un colpo di tosse, mi guardò e poi disse:
– Riesce a riaddormentarsi dopo?
– Sì, anche se l’ultima volta che mi è successo, c’è stato uno sviluppo positivo.
– Mi dica…- Tacqui, osservando lei che mi incoraggiava con un sorriso.
– L’ultima volta… be’ l’ultima volta, nel momento che ho alzato la testa per vedere la lama del pendolo (che ovviamente non c’era), è comparsa al mio fianco una figura eterea, luminosa, di un uomo non più in vita, che mi incoraggiava a scendere in sua compagnia. E siamo scesi, scalino dopo scalino, e più scendevamo, più l’ambiente si ammantava di luce. Ad un tratto mi indicò una porticina, l’aprii e…
“E quindi uscimmo a riveder le stelle”.
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