Vorrei sfiorarla quasi con indifferenza, penso, sorriderle con espressione distesa, tranquilla, dirle, senza neppure abbassare troppo la voce, che per me è un vero piacere incontrare una ragazza come lei, sederle di fronte, poterla osservare nelle sue espressioni piacevoli e immaginare quanto cortesi e garbate devono essere i suoi modi, i suoi gesti, persino la voce. Invece sto qui, rannicchiato e fermo su questa sedia di stoffa e metallo, e sento risucchiare ogni tanto le mie riflessioni da elementi distanti, da velati ricordi, che qui in questa stanza sembrano ancora più remoti, quasi dei filamenti che giungono svogliatamente da un’altra vita, da un mondo lontano.
I lacci delle mie scarpe sono ben stretti, osservo, non riuscirò a sistemarli così bene nella fretta di rivestirmi una volta effettuata la visita, e questa sarà una disdetta: uscirò da questa clinica con la testa confusa, alcuni fogli incomprensibili ben stretti dentro le mani, l’eco di alcune parole sentenziate dal medico e i vestiti malmessi, niente di peggio potrebbe succedermi. Anche la ragazza di fronte proverà le mie sensazioni, penso, ma a differenza di me potrà forse vantare una capacità adattativa migliore, un diverso modo di affrontare le cose, qualsiasi esse siano.
Così mi rassegno, vorrei essere lontano da qui con tutto me stesso, eppure so che devo fronteggiare qualsiasi prova mi si pone davanti, perché questa è la regola, e va rispettata. Adesso osservo le scarpe della ragazza, tanto per prendermi come una pausa: sono sicuro che calzano perfettamente e verranno indossate perfettamente anche dopo la visita, pronte ad accompagnarla in tutti quei giri che ancora in quella serata le resteranno da fare, alla volta di alcune piccole salutari esperienze, incontrare qualcuno, passare del tempo insieme agli amici. Invidio quella perfetta capacità che mostrano certe persone, e se ci penso mi rendo conto di quanto io abbia sempre cercato di assomigliare a qualcuno di loro, salvo aver perso soltanto del tempo verso il mio fallimento.
Vorrei alzarmi da questa sedia, adesso, schiarirmi la voce, declamare qualcosa senza capo né coda, mettermi in mostra, scatenarmi in una risata liberatoria che rompa questo silenzio impossibile percorso soltanto dal fastidioso ronzio delle lampade al neon. Invece sprofondo sempre più nelle mie spalle, piego la schiena, osservo ancora a lungo la punta delle mie scarpe. Poi la ragazza solleva lo sguardo, fa un leggero sorriso, dice: tocca a lei adesso, si faccia coraggio, le cose vanno affrontate con serenità; lo faccia per me, giusto per assomigliarmi, per prendere un po’ della gioia di vivere che non deve mai abbandonarci. La guardo, lentamente mi adeguo a quel suo sorriso, sento dentro di me che ha ragione, non ci potevano essere parole migliori di quelle che ha detto, tanto che non riesco neppure a rispondere, a dire qualcosa. La porta bianca si apre, l’infermiera si affaccia, dice il mio nome: vado.
Bruno Magnolfi
- Blog di Bruno Magnolfi
- Login o registrati per inviare commenti
- 1124 letture