Perchè si va da San Marco a Cannaregio (Venezia, trenta aprile duemiladodici) | Poesia | Anser | Rosso Venexiano -Sito e blog per scrivere e pubblicare online poesie, racconti / condividere foto e grafica

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Perchè si va da San Marco a Cannaregio (Venezia, trenta aprile duemiladodici)

Ad ogni incrocio d’ombra
s’intravede l’orbita vuota del tempo,
il ghigno beffardo del cielo.
Non rubare baci a Ca’ di Dio
che sono fantasmi a sbiadire
il battito del cuore, e quella linea
d’orizzonte divide ogni cosa
in parti quasi uguali.
 
Maschere sospese, in un eterno nulla
guardano, ridono.
Ballano,  poi stringono il nodo
a spegnere ogni fiato
con risate gelate.
Che la morte ha il suo guadagno
in ogni pietra scavata, solcata
da labbra di sale.
 
Ah, quant’è alto il sole, sopra disegni
che sono lo specchio del cuore
a posarsi, nel confine, confuso, incerto
di mare e case. Tutto passa
colore dopo colore, dopo altri colori,
sino a sbiancare nel dolore
che lascia andare, altrove, la mente.
 
Perché si va, da San Marco a Cannaregio,
senza ragione di viaggio
e si sfiorano fianchi, s’immaginano baci,
mentre il vento canta
e s’alza dal fondo d’ogni onda
il ricordo sfumato d’un ventre
liscio ed amaro di donna,
un volto randagio.
 
Ogni calle è la copia precisa
dell’andare, senza meta sicura
a scovare dietro l’apparire indeciso degli occhi
[il grigio dell’occhio sinistro
e il blu dell’altro]
lo sfumare della sabbia in mani
che hanno subito, a morsi di pena,
l’andirivieni bastardo del tempo.
 
 

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