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Impiccagione

Che ne sarà

di questa materia incantata

che non risponde,

che non urge,

ma che grida

e stringe in un nodo perenne

                                                e svelto

                                                                         ed estenuante.

La mia vita

era una parola uscita dalla tua casa.

tu stringevi ombre

                                               e donne

                                                                            e foto-ricordo.

Tu

ovunque

per me

eri Vuoto e Assenza

eri Amore e Indifferenza

                                                                   a volte odio,

quasi sempre stupore.

Stupore

di saperti ancora vivo.

Dicevi: “i giapponesi, molti di loro si suicidano”,

e poi

ti portavi le mani al volto,

e io ero impotente

                                                 ...e poi

tu mi prendevi

e fra le gambe c'era un Santo

dall'inguine rovente

come il mio pube

che voleva accogliere il tuo seme

voleva che qualcosa di te germogliasse

ma era solo l'istinto

 

- dicevo -

 

quello dei trent'anni,

l'ultimo,

poi...

poi tutto diventa abitudine

e allora anche quel cardine

cui impiccarsi

pare un vizio

come la sigaretta all'alba in cucina

fra caffè e capelli in disordine.

Parole che stanno sole

e non sono più luce

ma oscure,

lente

acque,

oltre il porto dell'avvenire.

 

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