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Mondo equo

La donnetta che procede lentamente con la borsa della spesa pendente dalla mano destra sta per svoltare l’angolo. È appena uscita dal piccolo, unico supermercato del paese. Trema. È diventata pallida, il viso come cera. Il sudore ghiaccio le imperla la fronte, il collo, le spalle. Gela la spina dorsale. Due volanti della polizia le stanno sbarrando il passo. La ruota di traverso, il muso azzurrino sia davanti al petto che dietro la schiena impediscono qualunque pensiero logico. “Oh mamma!” Un ragazzo in divisa blu, a capo scoperto, apre la portiera. La bocca parla prima ancora d’essersi del tutto raddrizzato. “Come si chiama?” “Chi?” “Il vecchio che abita lì”. Il poliziotto, facendo girare il braccio di quarantacinque gradi, il gomito piegato, fa cenno: dietro lo spigolo del muro. Lei è come lo vedesse per la prima volta, quel cantone tutto rabberciato, decimato dalla polvere del tempo. “Chi, Cesare?”. L’uomo in uniforme, il viso segnato di chi ha troppo in fretta vissuto, la incalza con la seconda domanda, “ abita solo?” Non hanno tempo da perdere. Vogliono arrivare all’obiettivo, spazzarlo. La donna, capito che non ce l’hanno con lei, azzarda, “ dite il vedovo, no? Quello che gli è morta la moglie?” Il giovane barbuto nemmeno la sta più a sentire; rimonta in macchina. Il collega, il pilota, fa apparire nella sinistra una sirena che appoggia sul tetto dell’auto. Schioda in retromarcia il pneumatico dal marciapiede, blocca quando la coda oltrepassa il portabagagli della volante rimasta dietro, poi schizza in avanti. Come fosse azionata dallo scatto, la sirena si mette ad ululare, s’accende, spegne. La seconda macchina insegue la sorella, muso contro fondo, in una pazza corsa dove l’orgoglio pare abbia più valore della vita stessa. Stessa la posizione delle auto sul marciapiede dell’unica casa in fondo, davanti alla quale sono giunte con uno stridio di freni. Il quattro poliziotti scendono di fretta, imbracciando ognuno una mitraglietta grigio fumo che pare un giocattolo, il petto coperto da una cortina di piombo. Tre di essi si inginocchiano al riparo delle portiere, il ragazzo che aveva chiesto informazioni alla donna con la spesa guarda fisso le due finestre piano terra, avanza lentamente verso il portoncino a vetri che da direttamente sulla strada. Nota che non esiste campanello, si volge interrogativamente verso i colleghi rimasti a fargli copertura. Lo sguardo si è fatto sospettoso, gli occhi due fessure. Pare esitare, poi saggia il portoncino con la grossa scarpa nera dalla punta arrotondata. Infine prende una decisione, fa un mezzo passo indietro, stende il ginocchio e centra esattamente la giuntura tra i due battenti. Il portoncino si spalanca su un ridottissimo corridoio dalle pareti affumicate. Il poliziotto, le spalle striscianti sul muro sulla destra, punta alternativamente, più velocemente che può, la bocca della mitraglietta, prima alla porta di destra, poi a quella di sinistra. Immagina che la porta a vetri, assolutamente trasparente nonostante le bolle impressevi, in fondo al corridoio, sia quella del bagno. Non vede ombre oltre di essa e la trascura a favore delle due molto più vicine, più pericolose. “Vieni fuori, le mani sopra la testa”, grida a squarciagola. Accarezza nervosamente il grilletto. È pronto a scaricargli addosso l’intero caricatore. “Figlio di puttana”, mormora. L’anziano, la schiena ricurva, le gambe semi piegate, il bacino, le mani appoggiate al tavolo della cucina, aggrappate quasi, al servizietto americano plastificato a fiori dai colori improbabili sul quale fuma un piatto vergine di passato denso di verdure miste, fissa, trasognato, l’assatanato negli occhi. “Che cazzo vuoi, oh?” “Le mani sulla testa “, grida ancora il poliziotto, “sulla testaaaa!” Il vecchio ora fissa la bocca tremante della mitraglietta. Il timore che quello sventurato si lasci andare al nervosismo incontrollato, alla situazione. “Sei tu Cesareeee?” “Si, sono io”. L’anziano è fermo, stranamente, nella voce. “Sei tu che in piazza hai urlato che quattrocento euro non bastano più per vivere, con l’affitto?” “Si, riportalo, e adesso…spara schi…”

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