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Risveglio

L'alba s'inarca nel cielo frastornato tra il buio e la prima luce arrogante. La camera è ancora avvolta dal silenzio che immobilizza gli oggetti inanimati e il corpo che ha assunto pose strane dopo il frenetico agitarsi nelle lunghe ore della notte. L'oscurità disdegna la necessità di recedere innanzi alla luce che appiattita s'insinua tra le fessure e avanza.
Poi gli occhi si aprono di scatto, quasi avvertiti del cambiamento, di quella metamorfosi che ricompone le parti della mente e rielabora il distacco notturno dalle azioni cerebrali. Le palpebre si richiudono indolenti e pesanti, senza volontà propria, acerbi frutti ancora immaturi che trattengono i bulbi oculari. Le lingue di luce hanno raggiunto il letto, la coperta a quadri bianchi e rosa, le braccia distese, quasi a chiedere pietà per l'indifferenza sospesa e mai rifiutata dei sogni arruffati.
 Il suo viso è angelico, morbida la linea lievemente curva della guancia, dorata la peluria fine che segna indenne la fresca adolescenza, un vibrare modulato delle labbra, appena dischiuse ad emettere il respiro regolare. Un bisbiglio di lettere ricompone il nome che aleggia e mai si dissolve, una corsa cadenzata di sillabe che si affratellano e non si disgiungono. Ora il respiro è più affannoso e l'aria è risucchiata tra le labbra, gorgoglia in gola e ingoia la fine sensibilità di quel nome.
Sembra che sia cosciente e consapevole che non stia sognando e distingua tra l'irrealtà e la realtà che disegna la voglia della sua passione, un corpo che appare e poi si dilegua, senza turbarla nè cedere sofferenza alla sua certezza. Distingue poi che non è una bambola quella appoggiata sulla spalliera della poltroncina, ma è la vestaglia attardatasi a riposare, mal ripiegata la sera precedente.
Allunga il braccio nudo e aggraziato verso il sorriso del nuovo giorno, ormai in lotta contro gli scuri socchiusi, e reclama il rifiuto della sofferenza, lontana dai pensieri pesanti che ingannavano il suo amore. L'amore non è cieco e restituisce la certezza di quel nome.

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