Scritto da © Maria Rosa Cugudda - Lun, 09/11/2015 - 23:49
ANIMA DI CORALLO di Maria Rosa Cugudda
Se poesia è canto dell’anima, distillato di sentimenti, essenza di valori, allora scorrendo questo saggio il lettore si può abbeverare di ‘vera’ poesia. Perché qui Maria Rosa Cugudda dimostra di saper cogliere dalla vita attimi universali e ce li rende in versi liberi, ma incatenati all’esperienza non sempre lieta del vivere.
Nelle pagine si alternano visioni d’incanto, una natura trionfante e apportatrice di gioia, a spazi grigi, disperati, solitari. Mari azzurri, bagliori di luce, estati infuocate, germogli di spighe, profumi di paglia, mattine di fiori profumate, lasciano spazio a istanti permeati da profumo di tristezza, da pianto, da solitudine. Geme l’animo dell’autrice, ma “in voi parole inutili vane - fredde vuote - ritrovo conforto - alla mia disperazione - e vi chiamo a lenimento - del mio dolore”.
Eppure c’è fame di vita quando, nella sua missione di educatrice, sospinge un ragazzo lontano dalla droga mortale; quando guarda alla morte dei cari, rievocati non in spoglie mortali ma come creature sempre vive; anche quando arriva l’autunno del cuore, e si è travolti dall’uragano che sconvolge la quotidianità mai abbastanza valutata, ma evocata con profondità dall’anima straziata.
Su tutto brilla l’Amore per lo sposo che non c’è più. Era ‘il Medico degli umili’ Luciano Serra, e aveva intrecciato la sua vita all’esistenza della poetessa. Per sempre. In un sentimento che travalica le soglie incerte della vita. E si trasforma in sentire universale, in canto soave: “Con te amor mio sempre - anche se non ti vedo - dall’alba rosata - al cobalto tramonto. - Nel tuo essere invisibile - nella tua mente nella tua anima - vita mi regali ed io - in te continuare ad esistere vorrei”.
Per Maria Rosa “La morte sì - annulla ma la carne - esalta invece lo spirito - che inonda e travolge - luoghi e cuori - che ti conobbero”. La poesia nata nell’incontro con Luciano diventa “mio canto di te si nutre - che mi ami - e immensamente - anch’io ti amo”.
Altre figure si affacciano nei versi: indimenticabile la figura ieratica della madre, un affetto infinito come quello che lega Maria Rosa alla terra natìa: “Calde le mani tendevi - a chi con filo di dolore il cuore aveva cucito”. Altrettanto densa di affetto fraterno l’immagine di Grazia: “Cerca la pace abito nella luce - dove tutto è gioia e Grazia senza fine”.
Poesia dopo poesia, tante sono ancora le gioie e altrettanti i dolori, le sofferenze che incidono graffiando le pagine di un’anima che porta il colore del corallo: “Nel ripostiglio - ormai in disuso chiudo il mio spirito”.
Infine ‘il cuore tace’ e lascia spazio a parole scritte nelle emozioni: “Libertà sento - anche di mostrarmi piccola debole e fragile - da quando Lui - con lo sguardo più non mi abbaglia - e nel suo vezzo più non mi perdo”.
Mariella Debernardi
Nelle pagine si alternano visioni d’incanto, una natura trionfante e apportatrice di gioia, a spazi grigi, disperati, solitari. Mari azzurri, bagliori di luce, estati infuocate, germogli di spighe, profumi di paglia, mattine di fiori profumate, lasciano spazio a istanti permeati da profumo di tristezza, da pianto, da solitudine. Geme l’animo dell’autrice, ma “in voi parole inutili vane - fredde vuote - ritrovo conforto - alla mia disperazione - e vi chiamo a lenimento - del mio dolore”.
Eppure c’è fame di vita quando, nella sua missione di educatrice, sospinge un ragazzo lontano dalla droga mortale; quando guarda alla morte dei cari, rievocati non in spoglie mortali ma come creature sempre vive; anche quando arriva l’autunno del cuore, e si è travolti dall’uragano che sconvolge la quotidianità mai abbastanza valutata, ma evocata con profondità dall’anima straziata.
Su tutto brilla l’Amore per lo sposo che non c’è più. Era ‘il Medico degli umili’ Luciano Serra, e aveva intrecciato la sua vita all’esistenza della poetessa. Per sempre. In un sentimento che travalica le soglie incerte della vita. E si trasforma in sentire universale, in canto soave: “Con te amor mio sempre - anche se non ti vedo - dall’alba rosata - al cobalto tramonto. - Nel tuo essere invisibile - nella tua mente nella tua anima - vita mi regali ed io - in te continuare ad esistere vorrei”.
Per Maria Rosa “La morte sì - annulla ma la carne - esalta invece lo spirito - che inonda e travolge - luoghi e cuori - che ti conobbero”. La poesia nata nell’incontro con Luciano diventa “mio canto di te si nutre - che mi ami - e immensamente - anch’io ti amo”.
Altre figure si affacciano nei versi: indimenticabile la figura ieratica della madre, un affetto infinito come quello che lega Maria Rosa alla terra natìa: “Calde le mani tendevi - a chi con filo di dolore il cuore aveva cucito”. Altrettanto densa di affetto fraterno l’immagine di Grazia: “Cerca la pace abito nella luce - dove tutto è gioia e Grazia senza fine”.
Poesia dopo poesia, tante sono ancora le gioie e altrettanti i dolori, le sofferenze che incidono graffiando le pagine di un’anima che porta il colore del corallo: “Nel ripostiglio - ormai in disuso chiudo il mio spirito”.
Infine ‘il cuore tace’ e lascia spazio a parole scritte nelle emozioni: “Libertà sento - anche di mostrarmi piccola debole e fragile - da quando Lui - con lo sguardo più non mi abbaglia - e nel suo vezzo più non mi perdo”.
Mariella Debernardi
(docente e giornalista)
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