Scritto da © Marco valdo - Lun, 17/04/2017 - 19:35
La disposizione dei sentimenti era ancora provvisoria, gli spazi sembravano angusti, lei sistemava i nuovi arrivati con una logica di priorità, lui non aveva altra necessità oltre quella del possesso, quindi trovava posto dove c'era, l'unica logica era l'accessibilità, stiracchiava i suoi sentimenti ai bordi, per togliergli le orecchie, sordo ai richiami della presenza, guardava le mani di lei che spargevano profumo di lavanda.
“Dove sei?”
“davanti a te”
“mettiti alla mia sinistra così ti trovo”
“mi metto dentro di te, così mi cerchi”
“così se ti trovo mi perdo io”
C'era un cancello da qualche parte, che oscurava la vista, passavano la maggior parte del tempo dal lato opposto, l'uno dell'altra, ogni volta che si rivedevano era la prima, ricominciavano con gli sguardi, le mezze intenzioni, sistemavano il futuro e ancora non sapevano come chiamarsi, le parole erano dette a un chi, a un come, lei prendeva la confidenza e la riponeva nella fiducia, ma ancora teneva il contegno a ripararle le spalle, lui lanciava intenzioni e nascondeva le mani.
“dove andiamo”
“seguimi”
“sono davanti”
“avresti dovuto girarti”
“quando?”
“quando volevi”
Tutto accadde d'un tratto, un tratto in salita, i respiri erano gonfi delle inerzie dell'inverno, i rarefatti pensieri imbrogliarono le intenzioni, mentre gli occhi imbrogliavano le parole, volevano tornare subito a casa, per dare un nuovo ordine alle cose, per far spazio ai sentimenti.
“non so da dove cominciare”
“fammi posto”
“dove?”
“alla tua destra”
“perché?”
“il tuo lato scomodo”
C'era una casa, dispersa nello spazio, due abitanti, non c'era una direzione, il lato scomodo era quello opposto.
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