Scritto da © Marco valdo - Dom, 30/04/2017 - 13:57
Uno sguaio d'accidente permea di precario le intenzioni, Antenocle si sente lussato nell'intimo, procede a scarponi verso il suo destino, l'asinino del riso gli rimuggina fra le gengive, tenta un approdo sul bordo delle coste larghe dei suoi pantaloni di velluto, scivola, come fosse una caduta di stile, si rialza e spolvera le terga, come fosse omeopatico l'onomatopeico, si guarda in giro, si vede seduto dentro un caffè, fortunatamente freddo.
“Certo se fossi più parco di minchiate, potrei far pagare il biglietto e darmi un contegno contenuto, un profilo basso, tipo quello del nano Bagonghi, cercare un circo o circolo vizioso, dove dare adito ai pettegolezzi, sfrinire il desiderio di cicalecci, slabbrare qualche stentato bacio, avvinghiare l'avvinghiabile di labile laio o meglio un saio, errare savio dentro sandali di sandalo, col cordone sulla vita, una folla di folli che si assiepa nei lati, quelli oscuri, delle perse rette vie, francigene e francescare, far parlare gli augelli di spifferi, col piffero che ci vado, a stanar tope dalle tane, donna nana? Mah, forse e meglio un decoroso ricovero, affrescato a tinte fosche, con tutte le mie brutte figure in bella mostra, tipo la moglie dell'orco, che sicuramente e veneta, si capisce dall'ombra che gli arrossa il viso”
Antenocle ne ha ben donde, dove l'iberico don sbattè le corna, mulini a vento e cosacchi, gongola Gogol di gozzoviglie, ma qui si perde il filo del discorso, che poi sarebbe ieri tutto attaccato, una guerra preventiva, anticoncezionali che non concepiscono le donne gravide di incertezze.
“sfido io che mi ero perso, ha vinto io, all'arma bianca, un randello di betulla, dato tra capo e collo, a tradimento, quindi i colpi erano due, ha imbrogliato le carte, gli ha fatto credere che dai loro semi nascano mazzi, io, non ti riconosco e pensare che prima ti conoscevo come le mie tasche, che erano sempre piene di qualche fastidio, resto solo fra me e me e siamo di nuovo in due”
Antenocle è bipolare, se entra in contatto diventa elettrico e illumina la stanza di brillanti mine, che accapponano la pelle, del figlio di Apollo, che a pelle lo trovi simpatico, come il nervo che fa fare l'occhiolino.
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