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L’anacoluto di dio

Che la luna si trasmuti
di suo o che un chiodo
di luce l'àncori allo sfondo
dell'ora nera smaltata
che la pentola lassù
procrastina al turnover
dello scuro e del chiaro.
 
Che le nubi
procedano a lenzuola solitarie
sciorinate da altezze remote o si muovano a gregge
con la loro transumanza oceanica
sui pascoli d'ogni continente o nelle bocche
arse delle arenarie fluviali.
 
Sempre troveremo
uno sguardo che attinge
dalle terre animate e mobili
dalle rocce inani risalite ai templi,
dai fanghi mistici al piede dei mari;
senza conto delle latitudini, delle quote svettanti,
dei colori macroscopici, delle tinte gradienti nelle minutaglie:
- toh! il giallo di uno zolfo vulcanico o il venereo rosa della rosa,
ma anche i bianchi degli avori di tutti i morsi dati
all’incarnato delle pelli amate
o soltanto odiate;
sempre troveremo - io dico -
la mira di una speranza che si appunta
nell’intangibile cosmo, di cui il nero solido,
ritenendo che proprio negli spazi espansi
si aspanda(*) eletta la nostra finitudine:
 
saremmo in quell’assoluto l’anacoluto di dio?
 
(*) sarebbe "espande" per i non celtici, come da commento a Manu.
 

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