“Dove, dopo tutto, cominciano i diritti umani universali? Nei piccoli luoghi, vicino a casa..., così vicini e così piccoli che non possono essere visti su una qualunque mappa del mondo. Eppure essi sono il mondo dell’individuo; il vicinato con cui egli vive; la scuola che frequenta; la fabbrica, la fattoria o l‘ufficio in cui lavora.
Questi sono i luoghi in cui ogni uomo, donna o bambino cerca eguale giustizia, eguali opportunità, eguale dignità senza discriminazioni. Se questi diritti non hanno significato lì, hanno poco significato in qualunque altro luogo. Senza un’azione d’impegno civile per applicarli vicino a casa, cercheremo vanamente il progresso in un mondo più grande”
Eleanor Roosevelt, New York, 27 marzo 1958
Con queste semplici e lucide parole Eleanor Roosevelt, ci chiarisce la relazione esistente tra etica, politica, e diritti umani. I diritti umani riguardano la sfera dei valori personali, e in quanto tali, richiedono sensibilità verso noi stessi, i luoghi e le persone a noi vicine. Questi diritti dunque, non sono astratti, ma nascono e vengono rispettati a partire dalle relazioni più intime.
Risulta sterile oltre che puerile, attendersi che siano i governi ad operare in tal senso servendosi di una mirata politica.
La politica, ha smesso da tempo immemorabile di assolvere alla sua funzione di mediatrice dei conflitti in vista del bene comune. Al contrario, si è resa spesso responsabile di numerose guerre, e e paradossalmente motivandole con ragioni di pace, ignorando cosi’ le conseguenze disastrose per la natura ed i più deboli.
Le parole di Eleanor Roosevelt, costituiscono un incitamento a ripristinare i valori di unicità dell’uomo e di sensibilità nei rapporti umani. Le guerre, ed ogni forma di omicidio razionalmente organizzato e preordinato, sono tollerate solo perché il nemico è un principio immateriale.
Il singolo essere umano, privato del riconoscimento del suo carattere di unicità, svuotato di tutto ciò che ne fa una persona fisica reale, è ridotto ad un concetto generico ed astratto che cessa di essere un valore insostituibile; a quel punto la sua morte non suscita più orrore, divenendo razionalmente ed emotivamente tollerabile.
Come si pongono le donne nei confronti di questa alienazione generatrice di conflitti senza soluzione di continuità ? Quale è oggi la loro reale posizione nei confronti dei diritti umani in generale. e nello specifico verso idiritti violati delle donne ?
Può l’Arte ai nostri giorni costituire un antidoto contro barbarie e distruttività, ed assolvere ad una funzione di sensibilizzazione per la salvaguardia di tali diritti ?
Possono ancora le donne essere promotrici e sostenitrici della pace, intesa nel suo valore più profondo, come equilibrio e valorizzazione di tutti gli elementi costitutivi della società ?
È possibile tuttora sperare in un recupero, da parte delle donne, dell’antica funzione di guaritrici perfettamente in osmosi con la natura, pur nel riconoscimento di quella differenza ed unicità che costituiscono la sua ricchezza ?
Anche nel mondo dell’arte la natura si è quasi completamente dissolta, e il panorama artistico delle culture occidentali industrializzate propone costantemente sperimentalismi soggettivi, spesso fine a se stessi, slegati dalla realtà umana che persino nelle condizioni più disperate tende sempre verso l’universalita’.
Nel romanzo “Le tre ghinee”, Virginia Woolf suggerisce una via di accesso alla costruzione della pace che parte dal basso, dall’educazione e dalla creatività, e per realizzare questo prezioso progetto offre tre ghinee. La prima ghinea, è offerta a condizione che sia ricostruito un college “giovane e povero”, mirato alla formazione di coloro che sapranno validamente contribuire alla prevenzione della guerra: in questo college saranno insegnate Medicina, Matematica, Musica, Pittura e Letteratura, ma anche, e soprattutto, Psicologia, per comprendere la vita, gli altri, e l’arte dei rapporti umani. La creatività avrà la priorità in tutti gli insegnamenti e sarà utilizzata per imparare l’arte di vivere, promuovere l’unione di corpo e mente. La competitività sarà bandita assieme all’esibizionismo, ai diplomi, ai sermoni e alle conferenze, a favore della libertà e della genuina voglia di imparare.
La seconda ghinea, è offerta per aiutare le donne a guadagnarsi da vivere; come prima forma di emancipazione nei confronti del potere maschile, e condizione che mantiene le donne lucide e critiche nei confronti di quell’embrione di insetto che altrove viene chiamato “dittatore” ; quel tipo di ente umano convinto di avere il diritto, derivato da Dio, dalla natura, dal sesso o dalla razza, di imporre la propria volontà :
“…che diritto abbiamo noi […] di predicare ad altri paesi i nostri ideali di libertà e giustizia, quando ogni giorno della settimana dai nostri giornali più influenti sbucano fuori insetti come questo?”.
La visione della Woolf dunque, crea un collegamento tra conflitto di genere, e conflitto di stati.
Anche se la condizione femminile sembra aver stabilito un maggior equilibrio di forza e potere, di fatto lo squilibrio esiste ancora, ed è molto lontano dall’essere stato risolto.
Le quattro maggiori forme di dominio: razza, classe, genere e natura, rimangono tuttora roccaforti inaccessibili.
La natura, le donne e i più deboli, nel loro processo di asservimento, sono ritenuti ancora elementi passivi, comparse silenziose, piuttosto che co-protagoniste attive e di valore che invece finiscono con il costituire un invisibile sfondo ai protagonisti del potere assoluto.
Virginia Woolf si rivela profetica a proposito del rapporto pace/donna e creatività, quando si chiede: Come sarà la donna che avrà pari opportunità di accedere ai luoghi del sapere e del potere che ancora le sono interdetti ? Sarà essa in grado di non smarrire sé stessa nell’avidità del controllo
Potrà sottrarsi al rischio di divenire anch’essa possessiva, gelosa, aggressiva, troppo sicura di sé e del “giudizio immutabile di Dio, della Natura e della Proprietà” ?
Per questi motivi, la Woolf pone una condizione al dono della seconda ghinea: Che queste nuove donne emancipate, una volta giunte in alto, siano di aiuto a qualunque essere umano, senza distinzione di sesso razza o religione per intraprendere la professione prescelta.
La ‘terza’ ed ultima ghinea invece, viene donata all’avvocato che le aveva inoltrato tramite lettera, una richiesta di donazione per questo College femminile. Questa volta però, senza condizioni, in piena libertà in quanto:
“l’unico diritto di supremo valore per tutti gli esseri umani, il diritto a guadagnarsi da vivere, è già stato conquistato”.
Tuttavia la Woolf, quando l’avvocato la invita a sostenere la sua associazione per i diritti dell’individuo, l’opposizione alla dittatura, e il perseguimento dell’ideale democratico dell’uguaglianza di tutti i cittadini, oppone un chiaro diniego motivato da queste parole:
“…così facendo annegheremo la nostra identità nella vostra; entreremo, riproducendoli e rendendoli ancora più profondi, dentro i vecchi slabbrati solchi lungo i quali la società […] va gracidando con insopportabile coralità: trecento milioni spesi per gli armamenti. Cancelleremmo la visione che la nostra esperienza della società ci ha aiutate a intravedere”.
Piuttosto, ella propone la fondazione di una nuova società: la “Società delle Estranee”. Una libera associazione di figlie degli uomini colti che si impegneranno a guadagnarsi da vivere, a far ottenere alle madri uno stipendio tale da permettere loro un pensiero e una volontà autonome, a denunciare ogni prevaricazione o abuso all’interno del lavoro, a non guadagnare più del necessario, rifiutandosi di partecipare direttamente o indirettamente alla causa della guerra, ritirandosi da ogni competizione, rifiutando incarichi ed onori, operando attività di verifica ed eventualmente di critica, in tutti i campi, dalla religione alla scuola, dall’arte alla politica.
Una Società che pur perseguendo i medesimi fini dell’associazione dell’avvocato, cerca di raggiungerli con mezzi diversi che provengono da ben altra educazione, da una specifica visione ed interpretazione del mondo che va molto al di là degli stretti confini maschili:
“In quanto donna non ho patria. In quanto donna, la mia patria è il mondo intero”.
La continua violenza alla quale le donne sono soggette, la dice lunga su quanto certi meccanismi di potere mantengano inalterati certi squilibri a favore delle classi sociali, dei generi, delle nazioni e dei poteri dominanti.
È innegabile, ci sono stati miglioramenti nella condizione femminile, specie nei paesi industrializzati, ma queste conquiste non rappresentano un dato di fatto, un diritto acquisito ad Aeternum. L’abuso nei confronti dei più deboli, è una pratica costantemente in agguato e le donne, soprattutto quelle più povere e meno colte, sono tuttora quelle più esposte.
Saranno le donne a fare la pace? Dice David Grossman nel suo libro “A un cerbiatto somiglia il mio amore”. Noi non possiamo che augurarcelo, ma per fare la pace le donne devono abbracciare la via della disobbedienza nei confronti di un sistema politico promotore di valori eterni, iniziando a rifiutare il linguaggio astratto ed ideale per calarsi in una dimensione maggiormente corporea ed emozionale, ripristinando e valorizzando le sue naturali capacità di empatia.
La ricerca della pace è soprattutto un affinamento di sensibilità, solo grazie ad essa infatti possiamo renderci conto di quanto la conoscenza abbia bisogno di minare l’ignoranza; la compassione di dissolvere l’intolleranza; l’attivismo coordinato di sostituire l’accettazione passiva e la disperazione; il dialogo di sostituire la sterile recriminazione; la giustizia innovativa di prendere il posto della vendetta; la moralità di sostituire le aride speculazioni del commercio e degli affari; ed il riconoscimento della universalità dei diritti umani di divenire una piattaforma comune imprescindibile ed inalienabile.
A. Iurilli Duhamel
opera A.Iurilli Duhamel , Nike
V. Woolf, Le Tre ghinee, Feltrinelli 2000
D. Grossman, A un cerbiatto somiglia il mio amore, Mondadori 2008
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