Scritto da © Anser - Mar, 22/03/2011 - 09:56
Il poeta è una puttana
[avvinghiata a parole]
su viali di passi, a chiedere sottovoce
rimborsi di dolore,
quel “perché?” appoggiato
a cristalli di rocce scure, violente,
sul fremito della terra,
sulle spighe del grano.
L’infinito sfugge, [con parabole concave]
a intrecciare ogni sguardo,
mescola il sangue con gocce di Chanel;
non esiste pianto, consolazione.
Non esiste rimedio al dolore, non c’è
giudice a decretare uno sconto di pena.
La salita assume contorni di miele,
capovolta diventa discendere a stento
un abbandono di mani, un amore
trascinato in assenze di luce,
In rapide occhiate lasciate
con incessante tremore.
Non esiste vento a coprire
i raggi al tramonto, la luce
che scende l’abisso del cielo.
Che importa, se i camini fumano?
Se i tumori scavano la mente, e scema
il silenzio, ogni sera. Sino ad ascoltare
pioggia ticchettare i tetti
d’ogni rifugio. A scanso di rapide,
fugaci onde di mare.
Lo spazio è osservare il tempo
liquido, molle, coprire
insperati ritagli di neve.
L’amore [non conviene sempre],
assorbe pioggia sudata
su pietre intrise di vento,
asciuga i colori lasciati
dalle nostre primavere.
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