Scritto da © Anser - Mar, 04/01/2011 - 23:38
Joseph Ratzinger era morto una settimana prima.
Il nuovo Pontefice, che aveva preso il nome di Pietro II, era seduto dietro la scrivania papale, intento a scrivere, quando entrò il suo segretario.
«E’ arrivato ora» gli disse. Pietro II alzò lo sguardo. Posò la stilografica, mise i fogli nel cassetto piegandoli con cura.
«Fallo entrare, e poi vai. Lasciaci soli»
«Santità, non mi sembra prudente…»
«Non temere. Lo conosco da quando ero bambino.»
Il segretario fece un gesto di disapprovazione, ma chinò il capo. Uscì, facendo entrare il visitatore. Era un uomo dall’età indefinibile, non molto alto. Magro, la carnagione scura. Gli occhi celesti, chiari, risaltavano su quel viso quasi senza tempo. Le rughe, sottilissime, davano al suo sorriso un’espressione triste e seria. Le labbra quasi non sembravano muoversi quando parlava, la voce era decisa e calma.
Pietro II si alzò e gli andò incontro. Lo abbracciò.
«Devi essere stanco» gli disse, facendogli il cenno di accomodarsi. L’uomo si sedette, e subito il suo sguardo si posò sulla Madonna del Michelangelo appesa alle spalle del Papa. Sorrise, guardandola, anzi, si mise quasi a ridere.
«A cosa pensi?» gli chiese Pietro II, stupito da quella reazione.
«Penso alla discussione che Michelangelo ha avuto con Raffaello, su quel quadro. Si sono quasi presi a pugni. Si odiavano, quei due».
Il Pontefice sorrise. Sapeva che il suo amico era un uomo d’una cultura immensa. Sicuramente lo aveva letto in qualche libro.
«Allora, dimmi. Ti ho dato udienza perché ti conosco da quando ero un bambino. Ma non ho molto tempo, tu comprenderai»
«Comprendo benissimo. Sei diventato uno degli uomini più potenti della Terra. Ho sempre saputo che ti saresti seduto in questa stanza».
Si alzò, e andò alla finestra. La piazza era quasi vuota, qualche gruppo di pellegrini, dei preti che camminavano veloci. I colonnati sembravano braccia aperte ad abbracciare il mondo. Sorrise nuovamente, dentro di sé. Poi si voltò verso il successore di Pietro. La sua espressione divenne neutra, quasi dura.
«Mi aveva detto di andare. Si, mi ricordo ancora le sue parole: quello che devi fare, fallo!». Pietro II lo osservò, come si osserva una persona che non sa quel che dice. Fece per rispondere, ma l’uomo riprese a parlare.
«E io ho obbedito. Che altro potevo fare? Ero giovane, allora. Giovane e irruento. E poi ci credevo veramente. Quando l’ho visto morto ho capito quello che mi sarebbe successo, e ho avuto paura. Tu hai mai avuto paura?»
Pietro II era interdetto. Aveva pensato di parlare con un vecchio amico, venuto a salutarlo.
«Certo che ho avuto paura. Specialmente quando mi hanno eletto. Ho sentito addosso tutto il peso della Chiesa. La responsabilità….»
«Ahahahahah… la responsabilità. Che ne sai tu della responsabilità? Che ne sai tu del peso? Guarda questi quadri, questa stanza, questo palazzo. Affacciati! Guarda la basilica, la cupola. Non c’è più tempo ora. E’ finito.»
Pietro II non capì. Pensò di chiamare qualcuno che lo aiutasse. Sicuramente il suo amico non stava
bene. Vaneggiava.
«Ti senti bene? Non ti ho mai sentito dire queste cose. Mi hai sempre aiutato, sostenuto. Non ti capisco» gli disse.
Poi fece per alzare la cornetta del telefono, per chiamare il segretario.
L’uomo si mosse di scatto, veloce. Gli bloccò il braccio, impedendogli di chiamare.
«Cosa fai? Lasciami!»
«Non posso. Quello che devo dire, lo posso dire soltanto a te. Nessun altro lo deve sapere. Soltanto a te, amico mio». Il tono delle parole si era addolcito e la stretta sul braccio pure. I due sguardi si incrociarono, a pochi centimetri di distanza. Pietro II si sedette, tranquillizzato dal tono delle parole, dallo sguardo.
Deglutì, e si accese una sigaretta.
«Allora dimmi quello che devi. Sono qua, ti ascolto».
L’uomo lo guardò con tenerezza, le rughe sul viso erano tese. Poi, iniziò a parlare.
«Sono stanco. Molto. Ah, tu certo non puoi immaginare cosa significa attraversare il tempo, senza vedere una via d’uscita. All’inizio, l’euforia, la sensazione di onnipotenza, di essere, perdonami se oso dirlo, come Dio. Poi, lentamente la consapevolezza, la condanna. L’orribile condanna di sapere e non poter fare nulla. Di sapere e sopportare. Capisci?»
«No, non capisco. Non ti capisco. Dici cose senza senso!»
«Quanti anni hai, dimmelo!»
«Ne ho sessantotto. Lo sai»
«E io quanti anni ho? Dimmelo, se lo sai».
Fece per rispondere ma si rese conto che non lo sapeva. Si ricordava di lui da quando era un bambino di nove anni, poi durante gli studi superiori, il seminario. Poi l’ordinazione sacerdotale, la promozione a vescovo, la nomina a cardinale.
Si sentì a disagio. Lo aveva sempre visto così. Sembrava non fosse invecchiato, eppure sei decenni segnano il volto di chiunque.
Restò in silenzio. Sentiva gli occhi del suo amico fissi su di lui. Lo guardò. Sorrideva in un modo triste, stanco. Rassegnato.
«Visto? Tu non sai dire quanti anni ho. Non lo so precisamente nemmeno io. Ricordo a malapena di quando ero bambino»
«Allora dimmelo tu»
«Io ho attraversato il tempo, tutto il tempo del mondo. Da quel giorno. Ho attraversato soprattutto i suoi dolori. La mia condanna, la vera condanna, è stata sopportare tutti i dolori del mondo, senza poterci fare nulla. Solo guardare ed aspettare.»
Pietro II era seduto sulla poltrona che era stata dei suoi predecessori. In qualche modo riusciva a intuire il fluire del tempo. Avrebbe potuto chiamare aiuto, far portare via il suo amico, farlo rinchiudere come un pazzo; eppure sapeva che non gli mentiva, qualcosa dentro glielo confermava.
«Cosa devi dirmi, allora?»
«Sta tornando. Devo soltanto dirti questo. Sta tornando.»
Pietro II lo fissò. E si guardò le mani. Tremavano leggermente.
«Quando? Dimmi soltanto quando.»
«Presto, molto presto. Prima della prossima Pasqua.»
«E cosa farà?» gli chiese.
L’uomo stette in silenzio. Respirò profondamente, lentamente.
«Non vi permetterà di continuare. Dirà la verità. E per la Chiesa sarà la fine.»
Pietro II mise il volto tra le mani. Iniziò a piangere, come un bambino. L’uomo chiuse gli occhi. Si alzò, lentamente, e posò la mano sulle spalle del papa. Sentiva i singhiozzi che scuotevano il corpo del suo amico. Aveva visto nascere la basilica, la cupola. Aveva visto tutto. Aveva odiato e amato gli uomini che stavano lì dentro, aveva cercato di aiutarli a dirigere la Chiesa, aveva pregato, urlato il nome di Dio. Soltanto il silenzio gli aveva risposto, soltanto quella frase: «Quel che devi fare, fallo!».
L’uomo tolse la mano dalle spalle del papa. Si avviò verso la porta. Fece per aprirla, ma Pietro II gli disse: «Ti ho sempre avuto vicino. Dimmi chi sei, chi sei veramente! Un angelo di Dio?»
«Io un angelo di Dio? No, sono un uomo» disse, quasi ridendo.
«Allora chi sei?»
L’uomo si voltò. Guardò il suo amico, scuotendo la testa.
«Mi hanno chiamato in molti modi: Agostino, Leonardo, Francesco, Isacco, Galileo… mi hanno davvero chiamato in mille modi, ma mai con il mio vero nome. Molti semplicemente mi hanno soprannominato l’Ebreo Errante. Ed hanno ragione. Sono ebreo e non ho più radici.»
«Ti prego, ho bisogno di saperlo!»
«E’ passato molto tempo, che quasi non me lo ricordo il mio nome. Sono secoli che non lo pronuncio» e fece per uscire.
«Ti prego!»
L’uomo chiuse gli occhi. Poi riprese a parlare.
«Giuda, io sono Giuda l’Iscariota», disse con la voce tremante. Ed uscì dalla stanza.
«È caduta,è caduta Babilonia la grande ed è diventata covo di demòni, carcere di ogni spirito immondo, carcere d'ogni uccello impuro e aborrito e carcere di ogni bestia immonda e aborrita. Perché tutte le nazioni hanno bevuto del vino della sua sfrenata prostituzione, i re della terra si sono prostituiti con essa e i mercanti della terra si sono arricchiti del suo lusso sfrenato». (Apocalisse 21:2)
(Ogni riferimento a persone reali o fatti realmente caduti è puramente casuale)
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