Scritto da © giuseppe pittà - Gio, 15/11/2012 - 19:41
Non è stata una risposta immediata. Ci hai pensato molto, prima di posare gli occhi al suolo – “Non esisto più” – Questo dici e non c’è alcuna inflessione particolare, mentre lo dici, come se fosse la cosa più naturale del mondo. Una frase di chiusura. Semplice, diretta, senza fronzoli. Tre parole che chiudono la giostra. Niente da aggiungere. Fine. Punto. Eppure, dentro, c’è una infinità di strade e viottoli, almeno un milione di tira e molla, tanti pensieri e decisioni, un casino di bugie e verità. Un mondo al completo che avanza e si ritira, come fosse spuma di mare, con tutte le applicazioni d’obbligo, maree e scogli e relitti e scoperte. Tutto come copione, in un bosco di storia che intrica e si sviluppa, come dalla crescita dei rami, con le foglie che si aprono, in primavera, e si disperdono, in autunno. La mano delle stagioni, nelle ore e nei minuti del divenire, che non è mai alla stessa velocità, ma si attrezza di passi svelti e più lenti o, semplicemente, più lunghi e più corti. Così decidi di ritrovare un tuo motore e provi le accelerazioni. Lo stesso rumore meccanico ti fa capire se il funzionamento è nella norma o se, invece, devi livellare e muovere dadi e bulloni, a trovare il giusto ritmo. perché, in vero, tutto abbisogna di un suo moto, anche la precisione di una fine ha necessità di movimento. Non esiste una immobilità. Né per contratto, né per legge. Tutto è caos e, cosa strabiliante, tutto ha una sua motivazione. Ogni accidente ha origine e costruzione e si propaga nel tempo e nello spazio. Dunque la tua decisione di chiudere la parola non giunge affatto improvvisa. Le avvisaglie ci sono state e solo una persona disattenda avrebbe potuto non coglierle. Come quando hai mostrato di non gradire gli affondi sulla animosità della tua anima. Di quel soffio di crudele allusione all’assordo esodo dei ragionamenti. L’estremo tentativo di un canotto di salvataggio, che diventa gomma da impiccagione, groppo alla gola della nobile schiatta degli uccelli e dei pesci e delle creature, tutte, di mare e di cielo e di terra. Un gioco di luce, a lama di purificazione, negli angoli aguzzi degli occhi già abbondantemente assenti. Di quelle nudità che diventano di colpo una specialità del fastidio. La noiosa cantilena di un giorno di festa. Da rinchiuderti nell’angolo del vuoto da conquistare. Questa cifra da manigoldo, che ruba e promette, ma anche sa sconvolgersi da sé, sparecchiando le tavole imbandite dalle mappe e dalle direzioni della bussola. Ed è tutto apparentemente sotto controllo, anche perché, se hai trovato il centro del sisma, diventa sempre più difficile avvolgersi di un fuoco che si rinnova e si riconsegna alle brezze vitali dei temporali. Intanto, però, siccome spuntano come funghi, sei al cospetto di un altro centro commerciale e l’esigenza di un qualche cielo si fa sentire, così approfitti delle offerte natalizie e te ne porti a casa uno di stagnola, che con quelli di plastica non ha assolutamente niente da spartire.
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