Scritto da © Maurice Ravel - Mar, 07/06/2011 - 14:29
E la gente è lì. Ed io sono qui. Fisso la tastiera. Respiro. Chiudo gli occhi. Hai paura? Liszt ormai è insito in me. Le dissonanze mi scorrono nel sangue. Io sono. Con lui posso essere. E adesso penso che magari qualche anziano potrà avere un infarto nell’ascoltare le mie campane a morto. Ma io non potrei esser più felice di quanto lo sia in questo momento. Introduzione. Adagio. Forte pesante, sempre marcato. Tremoli. Forte energico. Fortissimo. Diminuendo. Lunga pausa. Sotto voce. Insisto. Affondo nel tasto. Affogo nel suono. La melodia sempre accentata. Lagrimoso. E mi dileguo tra i suoni chiaroscuri. Più agitato e accelerando. Arpeggi. Le mie mani. Le mie dita. Un crescendo che sfocia in un fortissimo per morire in un sotto voce. Poco a poco più moto. Sempre più crescendo e più di moto. Ed ecco le temute ottave. E ricordo le ore di studio. Il caffè sul tavolo. Le macchie di caffè a pagina novantacinque. Allegro energico assai. Sforzato. Tutto d'un fiato. E senza accorgermene ho cominciato a mugolare. Ultima pagina. La fine. E morendo ricomincio sotto voce per poi crescere a dismisura e mostrarmi in tutto il mio dolore. Fortissimo. E improvvisamente Pianissimo.
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